mercoledì 25 febbraio 2015

Uno che non ha gli 80 euro


Aspetto che mio nipote esca da scuola. Chiuso in auto con la pioggia e ascoltando annoiato le solite cose: l'ultima battuta di Renzi, le repliche dei suoi avversari, la Grecia, l'Isis e cose così. Per fortuna arriva lui. Non mio nipote. Un rom di quelli col carrettino che perlustrano fra i bidoni dell'immondizia. Li guardo sempre con strana curiosità. Quasi sempre donne. Quasi sempre danno un'occhiata veloce al bidone e vanno avanti. Qualche volta perlustrano con un uncino. E quasi mai con successo. Infatti mi chiedo sempre quale sia la produttività del loro lavoro. Questa volta è diverso. Lui mi fa compagnia per un buon quarto d'ora. Tiene sollevata l'apertura del bidone con un'asta di legno. E fruga. E trova. Per tutto il tempo mi chiederò se trova perché si accontenta di poco o perché quello è un bidone fortunato. Un po' per la distanza, un po' per la pioggia, non scorgo bene. Ecco, sembra aver trovato un porta sale. Lo pulisce con una pezzuola e lo mette nel sacco nero da immondizia. Poi qualcosa che sembra un porta olio. Sembra soddisfatto. Questa deve essere una ciabatta elettrica. Questa forse una batteria. Non dovrebbe stare lì. Si tuffa quasi nel bidone per esplorare più a fondo. Una busta da trucco, mi sembra. E' perplesso. La ripulisce un po'. Poi scuote la testa e la rificca dentro. Arriva un giovane commesso da un negozio vicino, con grandi cartoni da imballaggio. Non li butterà dentro? Mi accorgo di fare il tifo per il rom e il suo lavoro sotto la pioggia. Mi chiedo anche se non sia rischioso per il commesso buttare dentro quella roba. E se il rom si arrabbia? Invece no. Quello riempie il bidone di cartone e il rom impassibile continua, subendo la fatica supplementare di scostate quei cartoni per esplorare. Va bene. Ha finito. Si dirige sotto la pioggia verso un altro bidone. Escludo gli interessino i tweet di Renzi e le repliche di Landini. E neanche la Grecia. E neppure l'Isis. E nemmeno l'Italicum e la grande riforma del Senato.

giovedì 19 febbraio 2015

Inattualità della lotta di classe e del sindacato. O no?


Michele Ferrero (Nutella, Kinder, etc.), forse l'uomo più ricco d'Italia, muore. Dicono fosse un grande imprenditore e - pare - un imprenditore illuminato, paterno e generoso di servizi ai dipendenti e alle loro famiglie. Grande rimpianto della città di Alba e omaggio del premier. Pare che nella sua azienda non si fosse mai verificato uno sciopero. Il premier fa anche visita a Marchionne. I successi della Fiat - dice il premier - lo hanno gasato. Marchionne ricambia più o meno così: "Mai nessuno aveva fatto tante cose in 13 mesi". A Pomigliano giorni fa lo sciopero indetto dalla Fiat è un flop pauroso ammesso dallo stesso Landini. E come non ammetterlo? Contro gli straordinari del sabato hanno scioperato solo in 5, tutti delegati sindacali. Il 31 dicembre scorso, in occasione della visita di Renzi a Tirana, il premier Albanese, Edi Rama, uomo comunicativo, ex giocatore di pallacanestro, musicista, già sindaco, socialista (che non so bene cosa significhi oggi), insomma abbastanza somigliante al nostro premier, invita gli imprenditori italiani ad investire nel suo Paese. Lì non ci sono sindacati né scioperi, assicura il leader socialista. Ma forse fra poco non ci saranno più neanche in Italia. Perché dovrebbero esserci? Conta trovare un datore di lavoro illuminato. Ma se anche non lo si trova, il sindacato e lo sciopero sono egualmente inutili. La spada di Damocle del licenziamento individuale o collettivo e della globalizzazione spegne ogni pretesa redistributiva. Né al sindacato è permesso ormai scendere in politica, protestare per questo o proporre quest'altro. Se osa, cori di improperi sono pronti sulla stampa e nel web. In epoca berlusconiana si poteva fingere di trattare (legge Biagi e cose simili). In realtà si otteneva esattamente quanto il governo aveva già deciso. Un rituale in cui fu specialista il collateralismo della Cisl e che serviva solo come foglia di fico, pretesto per giustificare l'esistenza della casta sindacale. Meglio ora quindi con il sindacato platealmente in angolo e beffeggiato. La lotta di classe è finita. Ed è finito anche il sindacato. A meno che... A meno che all'unità del capitale che non conosce patria alcuna, non si opponga l'unità dei lavoratori. Italiani, albanesi,cinesi, etc. Inverosimile, vero? Beh, quasi. Anche se mi piacerebbe occuparmi di questo, come di ogni cosa difficile e che vale. Prepariamoci quindi alla crescente osmosi di redditi e condizioni di vita. Aspettiamo che i cinesi ci raggiungano fra qualche decina di anni. E speriamo che ai nostri figli e nipoti la sorte regali un imprenditore paterno. P.S. Scritto in un momento di lucido malumore.

DOBBIAMO SCEGLIERE: O L'ISIS O I TEPPISTI DEL FEYENOORD


Non ho altra spiegazione. Cosa giustifica il rischio e il compiuto scempio della fontana del Bernini, se non questo ricatto sottinteso? Non possiamo privare i tifosi italiani o quelli della "civile" Olanda di devastare capolavori sotto l'effetto di superalcolici e soprattutto di congenita idiozia barbarica. Perché il rincoglionimento del ventunesimo secolo potrebbe altrimenti scegliere l'Isis. Così, giusto per menare le mani. Sono incavolato più di Marino. Se fossimo seri non si dovrebbe più parlare di calcio a Roma.

lunedì 9 febbraio 2015

L'ospitalità di Giletti


Splendido esempio di ospitalità da parte del conduttore Giletti. Mi piacerebbe invitarlo a casa mia per un caffè e poi buttargli la tazzina sul vestito. Solo per cercare di fargli capire. Ma forse l'Italia incattivita contro i piccoli privilegi e muta verso i grossi privilegi applaude. I 5.000 euro di vitalizio di Capanna sono uno scandalo? Un tantino sì. Io non glieli darei. Ma non certo per le sciocche motivazioni di Giletti. La solita solfa di chi è pagato dai cittadini. Giletti che invece riceve 333.000 euro, 5 volte più di Capanna, li merita tutti? E da chi è pagato? Dai marziani? Qualcuno ci salvi! Ma ho poche speranze. Esercito la mia inutile resistenza contro il senso comune avvelenato che ha conquistato il mio Paese. http://video.corriere.it/…/4d91d30c-afb0-11e4-bc0d-ad35c6a1…

lunedì 2 febbraio 2015

Il nome del figlio: fra vecchio, nuovo e realtà silente


In una cena fra familiari e un amico invitato uno spaccato del conflitto fra due culture nell’Italia di oggi. E poi l’irrompere di un’altra cultura, prima invisibile che bussa alla porta. Così ho letto il film di Francesca Archibugi. Paolo (Alessandro Gassman) è l’agente immobiliare estroverso dell’Italia rottamatrice di miti. Figlio di un eminente esponente della cultura “progressista”, si è “emancipato” da quella identità anche sposando la popolana Simona ( Micaela Ramazzotti) diventata autrice di un bestseller della periferia e che ora ha in grembo un figlio. La sorella di Paolo, Betta (Valeria Golino) ha sposato invece un erede della cultura progressista, Sandro (Luigi Lo Cascio), abbondantemente dotato delle convinzioni e dei tic che i nuovisti chiamano “radical chic”. Fra questi l’antifascismo ovviamente. Paolo adora rompere con le convenzioni. Compreso il tabu del fascismo. Perciò provoca l’esterrefatto e indignato Sandro: darà il nome Benito al figlio in arrivo. Perché no? Suona bene. E’ l’inizio della resa dei conti di due mondi che hanno narrazioni incompatibili . Con le donne che tacciono o fanno da cuscino. Come in Carnage di Polansky, assai simile nella cornice, quando il conflitto – qui “ideologico” - sembra spegnersi, si scoprono nuove alleanze trasversali. Paolo e alludono con estrema prudenza all’omosessualità di Claudio (Rocco Papaleo) l’amico musicista. Ma almeno quello dell’omosessualità non dovrebbe essere un tabu superato prima dai progressisti che credono nell’eguaglianza degli amori poi dai rottamatori che non credono in niente? Così, quando Claudio, a prova della propria “normalità” etero, confessa il legame segreto e decennale con la madre di Paolo e Betta, l’eversivo rottamatore subisce una crisi violenta . La gelosia per la madre non è rottamata nella nuova Italia. Anzi nulla di ciò che geme nel profondo è davvero all’attenzione dei nuovi rottamatori. E nemmeno della vecchia sinistra. Lo sguardo femminile e militante di Francesca Archibugi svela un altro punto di vista, eversivo rispetto alle due culture apparentemente opposte. La confessione di Betta per una vita spesa nell’accudimento dei figli e di un marito. Lui Paolo trascinato alla cattedra universitaria dal suocero mentre Betta si accontenterà del lavoro oscuro nella scuola. Perché in quella sinistra permane l’investimento nelle carriere maschili, con il destino di accudimento riservato alle donne. Accudenti mariti, figli ed alunni, mentre i mariti volano in alto. Come negare che non è all’ordine del giorno dei confliggenti del vecchio e del nuovo la stranezza che nella scuola vede le donne prevalere nelle fasce base della piramide con i maschi ai vertici nelle Università e nei maneggi? Egualmente la popolana Simona svelerà l’indifferenza snobistica dei maschi al suo faticoso lavoro di scrittrice. Nessuno dei partecipanti alla cena ha letto il suo libro di successo. Neanche il marito. Lo ha letto invece la madre di Paolo e Betta, incoraggiandola. La regista mostra così i segni di una solidarietà femminile con cui forse si faranno i conti. Francesca Archibugi però preferisce non isolare questo punto di vista. Tutti i protagonisti azzereranno infine i loro conflitti nel canto nostalgico di un Dalla della loro giovinezza (Ti telefono fra vent’anni). Quando le parti della vita non erano ancora state assegnate. Azzereranno solo per un attimo, credo. E’ normale così: i conflitti superficiali e ideologici, quelli più profondi e silenti, ma anche ciò che ci accomuna e ci fa vicendevolmente consolare, come passeggeri di una nave alla deriva. http://www.comingsoon.it/film/il-nome-del-figlio/50647/video/?vid=1...