venerdì 31 maggio 2019

Note da un viaggio nel triangolo americano - New York, Filadelfia, Washington - e propaggine canadese (Niagara e Toronto)


L'impressione immediata arrivando a New York è che lì a lavorare siano solo neri. Neri i controllori e gli inservienti all'aeroporto J.F. Kennedy. Neri i poliziotti e le poliziotte che scorgo sul tragitto per l'hotel, neri i netturbini e neri gi operai nei tanti cantieri aperti. Ancora neri (e alcuni ispanici) a servire nei bar e ristoranti. Eppure i neri, benché numerosi, sono “solo” il 23 % della popolazione. Insomma lo svantaggio dei nipoti degli schiavi è tutt'altro che superato. Altro che ascensori sociali... I bianchi che, da turista, non vedo al lavoro sono evidentemente a scuola, negli uffici o anche nelle fabbriche. Bianchi sono prevalentemente quelli che vedrò nei giorni seguenti correre per strada con il cellulare all'orecchio, destreggiandosi fra auto e pedoni nel traffico incredibile. Il traffico a Manhattan è incredibilmente più intenso e caotico che a Roma. Addirittura. E il rumore di clacson e sirene varie è assordante. Quasi tutti bianchi sono invece quelli che fanno footing a Central Park. Come bianchi sono i bambini in carrozzina accuditi da baby sitter nere: mai il contrario. 
Altra cosa che non mi aspettavo nella dimensione osservata è stata l'obesità. Con punte patologiche nella popolazione giovanile, bianca, nera ed ispanica; fenomeno inter-etnico almeno questo.
Qualcosa non esiste più, non almeno nei termini in cui ci si aspettava. Harlem ad esempio, è un quartiere “normale” e per nulla caratterizzato. Vi ho seguito un concerto gospel, molto bello e però del tutto inserito nei circuiti del turismo, con cantanti ex tossicodipendenti che la guida teneva a qualificare in tal modo. Si consuma la narrazione dell'emancipazione dalla dipendenza drogastica così come si consuma, nella campagna dello Stato di New York la visita alla comunità degli Amish, asceti senza corrente elettrica, ma con fotovoltaico e con caratteristici calessi che ospitano turisti dietro congrue mance.
New York appare tutto un cantiere: di opere nuove e avveniristiche e di restauri e di conversioni. Così a Chelsea dove la linea ferroviaria è convertita in una suggestiva high line, sentiero pedonale panoramico.
A parte gli angoli verdi e riposanti disegnati fra i grattacieli, se debbo scegliere ciò che più mi ha emozionato dirò la vista di Manhattan da Brooklyn: Manhattan dai mille grattacieli, oltre il ponte sull'Hudson sembra inventata per il piacere degli occhi di chi la guarda da Brooklyn.

Identità nazionali e fraintendimenti 
In viaggio si va per stupirsi. Stupirsi se ci si scopre eguali e se ci si scopre diversi. Più spesso si annotano le diversità, come io faccio qui. Senza esagerare e generalizzare. Ho detto degli americani più obesi. Obesità inconfrontabili per diffusione e gravità alle nostre. Dico ora degli americani più gentili. Almeno confrontando newyorkesi con romani. A Roma non mi capita quasi mai di sentire “scusi”. A New York, ma anche a Filadelfia e Washington e pure in Canada, a Toronto, era un continuo “Sorry”. Anche se solo ti si sfiorava salendo in ascensore. Adulti e ragazzi. Con un sorriso e un cenno della mano. Cito anche un episodio particolare e significativo di una gentilezza che non è di maniera. Presso il versante americano alle cascate del Niagara un improvviso “bisogno” fisiologico costringe a cercare un bagno di emergenza. C'è un grande magazzino che sta per aprire. Si chiede aiuto ad una addetta. Quella si mobilita e ti accompagna in un bagno aperto al piano superiore. Sono poco patriottico a pensare che in Italia si sarebbe risposto con gesti significanti “si arrangi”? A proposito di bagni, quelli degli alberghi a New York sono aperti a chi ne ha bisogno, senza formalità alcuna. Resto sull'argomento “bagni” anche come spaccato o pretesto per esibire differenze e fraintendimenti. Scopro che in ogni restroom (bagno) Usa c'è una scritta sopra il lavello che invita a lavarsi le mani. Non ero sicuro di averne capito il senso dapprima. Peraltro le scritte non sono identiche. Ma il senso è che gli addetti del locale debbono lavarsi le mani prima di tornare al lavoro. Mai visto qualcosa di simile in Italia. Anzi invito gli amici a correggermi eventualmente. Con i compagni di viaggio nasce una discussione. Perché la scritta in un bagno aperto al pubblico? Se l'invito è rivolto ai dipendenti non basterebbe rivolgerlo in privato? La mia ipotesi è che si vogliano rassicurare i clienti di bar e ristoranti sulla igiene e sulla pulizia di chi li serve. Qualcuno pensa invece che camerieri e cuochi americani siano mediamente meno puliti di italiani, europei o stranieri in genere e quindi abbisognino di raccomandazioni diffuse. Dubito. Non mi è capitato di osservare in Usa fruitori di bagni (in qualche caso certamente dipendenti) che non lavassero le mani dopo l'uso del WC. A differenza che in Italia. Ma, insomma, sto mescolando troppe cose insieme: cultura materiale, linguaggi, intenzioni, equivoci.
Passo ad altro con la mediazione del tema dello “equivoco”. Un equivoco che quasi mi procura una sincope si verifica mentre attendo con gli amici il bus che ci porterà ad Harlem. Come forse sapete, a New York il fumo è interdetto ben oltre i luoghi chiusi: anche nei parchi ed anche nei pressi immediati di edifici pubblici ed aperti al pubblico. Io sto fumando allora una delle mie poche sigarette quotidiane, abbastanza distante dall'agenzia in cui abbiamo acquistato i biglietti del tour. Succede che un tale mi chiama verso di sé sventolando una banconota. Brivido. Sono convinto che sia un agente in borghese che mi vuole multare. Come sosterrò la reprimenda di mia moglie mal rassegnata al mio vizio? Respiro. No, non è un agente. Quel signore mi sta offrendo un dollaro per avere in cambio una sigaretta. Visto che un pacchetto negli Usa può costare 20 dollari, un dollaro è il prezzo giusto. E quel signore evidentemente non può permettersi di comprare un pacchetto. Non prendo il dollaro naturalmente e racconto allo stupito interlocutore che in Italia un pacchetto costa meno di 5 dollari, con suo grande stupore.
Nota finale. In Italia la bandiera sta solo negli edifici pubblici. Negli Usa la bandiera stella e strisce sta negli edifici pubblici, ma anche nelle fattorie di campagna. E le narrazioni nazionali sono frequenti assai più che da noi. Vedi il Parco di Filadelfia, la vecchia capitale, con i luoghi in cui fu firmata la Dichiarazione di indipendenza e la Costituzione. E vedi i monumenti e i memoriali di Washington, capitale attuale, dedicati a Jefferson, Lincoln, M.L. King. Senza dimenticare il cimitero di Arlington o il recente spazio di Ground Zero, memoriale della prima grande tragedia del secolo. Spazi e monumenti tutti affollati, oltre che da turisti, da folte scolaresche in divisa. Un po' più disciplinate che in Italia, mi è sembrato. Un po' meno distratte da cellulari e, soprattutto nei musei, molto coinvolte dai docenti che invitano per esempio gli studenti ad assumere la posa dei personaggi dei quadri. Vorrei anche dire che la diffusione dei simboli, bandiere ed eroi mi è sembrata paragonabile negli Usa a quella osservata nella rivale Cuba dove vidi il Che, insieme all'eroe della indipendenza nazionale, Josè Martin, presenti in ogni borgo, con monumenti, quadri, foto e detti memorabili. Niente di simile in Italia con Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele. Magari somiglieremo a Usa e Cuba in futuro con i nipoti in pellegrinaggio – chissà- al mausoleo di Salvini. Dopo qualche decennio di educazione al “prima gli italiani, prima l'Italia” potrà succedere, probabilmente nelle forme grottesche di un neofascismo. Non nelle forme sobrie con cui Ciampi provò a rilanciare i simboli dell'identità nazionale come compatibile e in armonia con l'identità europea. Senza troppo successo.

Panorami naturali ed umani
Cerchiamo questi e quelli nel viaggio. Io forse un po' più i secondi, pur sapendo che gli uni e gli altri si intrecciano spesso. Nella parte del viaggio dedicato al Canada – un pezzo, quello prossimo al Niagara – ho visto più natura che uomini, anche perché con le persone ho parlato poco. Ho camminato in una gola attraversata da un torrente impetuoso e una cascata, il Watkins Glenn Canion. Ho ammirato la potenza del Niagara. Ho visitato piccole città: Niagara on the Lake, la città più vicina alle cascate mi ha colpito per il suo essere un mero divertimentificio. Con grandi Luna Park, Casinò e cose simili. Una piccola Las Vegas o una piccola Atlantic city (che non ho mai visto), immagino. Il contrario del posto in cui vorrei vivere. Ma è interessante anche capire ciò che rifiuto. Poi ho dormito nella cittadina di Ganonoque, tutt'altra cosa. Con pochi abitanti, dispersi in casette unifamiliari sul lago Ontario. Curatissima. Pulitissima. Con bei giardini e piante colorate. Con le sedi pubbliche ben esposte e che pubblicizzano i loro servizi: il Comune, la biblioteca. E il parco sul torrente. Segue la gita in battello sull'Ontario con le mille isole; che in realtà sono assai più di mille, molte antropizzate da villette e castelli. Vedo poco Toronto. Mi sembra una città modernamente armoniosa, dominata dall'alto obelisco, con una parte più nuova costruita sotto la più vecchia.
Poi il ritorno a New York. Dove ho trovato tracce frequenti d'Italia. I ristoranti, sia quelli italiani, sia quelli americani che però hanno sempre prodotti dal nome italiano: pizza, panino, spaghetti, etc. L'Italia e l'italiano presenti nel cibo più ancora che nella moda. Due volte a cena da Eataly che si affaccia sullo splendore dei grattacieli illuminati di Madison Square. Lì ho conosciuto Thomas, giovane irlandese che studia canto e lirica e perciò parla italiano e ama l'Italia, presente ovunque come dice la sua felpa. Anche Esther, la nera che ci ha guidato ad Harlem, parlava un ottimo italiano ed anche lei aveva imparato la nostra lingua studiando canto e praticando la lirica. L'ultima sera, vicino all'albergo, abbiamo festeggiato il compleanno di una cara amica in un ristorante italiano, con chef italiano di Brindisi e la sorella cameriera. Bravissimi entrambi. Che non torneranno in Italia, se non in vacanza. L'Italia si svuota, disseminando il suo cibo, la sua moda, la sua musica, la sua lingua e la sua gioventù nel mondo.

giovedì 30 maggio 2019

A proposito di Cuperlo e di razzismo (presunto)


A volte penso che il politicamente corretto sia un veleno per la logica e la ragione. Ammettiamo pure che Cuperlo avesse voluto dire (e pare proprio che non volesse dirlo) che certi insuccessi formativi (abbandoni, bocciature) e insomma cattiva istruzione ed ignoranza spieghino il successo della Lega in Sardegna. Ammettiamolo pure. Non avrebbe detto che tutti i Sardi sono ignoranti o stupidi per una sorta di inferiorità "razziale". Al più si sarebbe riferito al 33% di cui parlava che non completano la media superiore e che voterebbero Lega, prevalentemente. Una ipotesi comunque interessante, cioè degna di essere dibattuta . Interessante l'ipotesi che il basso livello di istruzione conduca a destra, come interessante sarebbe l'ipotesi opposta (che oggi appare poco sostenibile) per la quale l'ignoranza (o, meglio, il basso livello di istruzione formale) conduca a sinistra, magari perché correlato a povertà e domanda di eguaglianza. Francamente più sciocchina mi sembra la tesi che cultura e istruzione formale non abbiano alcuna correlazione col voto. Possibile che due fattori di tale rilevanza - istruzione e motivazione politica - siano del tutto indipendenti, senza correlazione alcuna? E inoltre, se fosse vero che si possa essere consapevoli e padroni delle proprie scelte anche facendo a meno di istruzione, perché mai la Sinistra e i democratici dovrebbero avere fra le proprie priorità assolute l'istruzione? Che c'entra il razzismo, citato a sproposito? Per capirci e per capire il senso del post, io affermo che il gioco subdolo delle destre populiste è quello di corteggiarci dicendoci eguali per lasciarci diseguali. P.S. Così credo di aver chiarito il senso del mio precedente, ellittico post.

martedì 28 maggio 2019

La pazienza pedagogica e attiva: lettera al povero leghista


Tu hai votato Salvini ed io ho votato Bartolo. Però tu ed io abbiamo gli stessi problemi. Strano, no? Tu vuoi più sicurezza. Anch'io la voglio. Per me, per figli e nipoti. Però io non mi sento minacciato dai migranti. Non mi sento neanche minacciato più di tanto da stupratori per strada e da rapinatori in casa. Un pochino sì, ma solo un pochino. E mi chiedo e ti chiedo perché il tuo leader non si impegni a rafforzare la polizia, ad integrare gli sbandati, a dare lavoro, ad assumere bravi poliziotti. Forse perché non ha il denaro per farlo. Forse perché il denaro gli serve per fare pagare di meno i più ricchi. La flat tax è questo. Non lo sai? Sai, se una persona a me cara subisse violenza a me non basterebbe maledire il colpevole, castrarlo, buttare le chiavi della prigione. A te sì? Io voglio che non ci sia violenza, non mi accontento di punire. Qualcuno invece in un mondo a violenza ridotta si annoierebbe. La vita senza occasioni di linciaggi gli apparirebbe come una domenica senza calcio. Sai qual è il tipo di violenza che più temo? Temo, partecipando ad un corteo, di essere pestato da poliziotti stressati ed imbestialiti. E' successo anche ieri, no? Temo poi, finendo in una casa di riposo, che improvvisati badanti mi sevizino perché sporco le lenzuola. Succede spesso, ci se ne accorge poco perché la vittima non sa parlare o non è cosciente o - talvolta- perché la Sacra Famiglia, celebrata a Verona, preferisce non sapere. Come i vicini di casa che preferiscono ignorare le urla che vengono dalla porta accanto e spesso preparano un femminicidio. O come preferisce non vedere la donna succube, compagna di un uomo violento e perverso che stupra la figlioletta oppure la uccide se il suo pianto disturba un pomeriggio di sesso.Affinché ciò non accada, io penso che servano porte e finestre spalancate e non già porte blindate ed armi a gogò. Ah, sei d'accordo? Allora smetti di farti imbrogliare e seguimi. Io vado in direzione opposta a Salvini.

venerdì 10 maggio 2019

Non c'è onore nella camorra


Quasi tutta l'Italia è con Noemi e sorride speranzosa al suo miglioramento. Dico "quasi" per prudenza. E perché non metto fra quelli che trepidano per Noemi quanti - diciamo, senza accorgersi di quanto dicono e come dicono - alludono ad una sorta di giustizia camorristica che avrebbe preso le distanze dagli esecutori inetti. Sentito sia su fb che, purtroppo, in Tv. No, non va bene. E' storia vecchia. Non c'è alcun apprezzabile codice di onore mafioso. Anche quando i sicari avranno imparato a prendere bene la mira, magari limitandosi a spararsi fra di loro, come auspicato peraltro dal ministro dell'Interno che ci capitò in sorte, il disprezzo per mafia, ndrangheta e camorra deve essere e restare assoluto.

Ci sono due Italie


Due Italie sempre più divise e lontane, pure nella vita quotidiana. C'è l'Italia della signora che insulta la sportellista del Cup dell'Ospedale di Ostia. Ad una urla "Siete tutte figlie di p..." (naturalmente senza i puntini che io "igienicamente" uso). All'altra "Sei una co...." (ancora puntini miei). Mentre le stoiche impiegate, rassegnate a questa Italia, non battono ciglio.
C'è poi l'altra Italia. E' quella di un giovane che esce dal portone dove ha sede il mio medico di famiglia. Non ci conosciamo. Ma si accorge di me in arrivo quando il portone si è chiuso e torna indietro. Gli dico che non è proprio il caso, posso citofonare. Lui però torna indietro e mi apre il portone con le sue chiavi. Valuto con mia moglie i due episodi. E' interessante che entrambi siamo più colpiti dal secondo episodio che dal primo. Come se la cortesia fosse oggi l'anomalia, la cortesia dell'Italia oggi minoritaria. Mi schiero anche con i miei puntini di sospensione di altri tempi.