domenica 26 febbraio 2017

Gli indigeni e i nuovi italiani


Per vedere "La locandiera", molto liberamente ispirata alla commedia di Goldoni che studiai a scuola, impiego più tempo nel tragitto che in sala. Trenino da Ostia-metro- Termini- via Giolitti fino all'Ambra Jovinelli. Non ricordavo così via Giolitti. Tutta negozi, nessuno negozio italiano per circa un kilometro. Bottiglie di birra sui muretti, alcune a terra. A terra un po' di tutto, comprese varie secrezioni animali ed umane che costringono ad una estenuante gimkana. E nell'aria un odore strano in cui il kebab è forse prevalente. Godo moderatamente l'interpretazione di Laura Morante,molto se stessa. Poi torno a casa. Mi diverto di più al ritorno in trenino. Prima spio il tablet di un inglese accanto a me che ripassa il suo italiano con frasari tipici tradotti. Tutto ok. Tranne a un certo punto una frase. "Mi presenta mia moglie"? Non riesco a leggere il testo inglese di cui quella sarebbe una traduzione. Mi allarmo un tantino pensando al mondo delle macchine che traducono e non solo. Poi ho davanti a me una famigliola che è tale e quale una famiglia italiana. Solo che decido che è filippina da molti indizi. L'uomo, marito e padre, stravaccato a dormire; la madre e due figlie di 8 e 13 anni più o meno. Accanto a me due ragazzi italiani, uno velocissimo con lo smartphone, tutto il tempo ad abbattere mostri, l'altro a chattare, mi pare. E quella madre fiippina (immagino una badante) che non dà tregua alla piccola. Tabellina, del 4, del 5, del 6, etc. Ogni tanto la più grande interviene facendo la sorella maggiore, sempre rimproverata dalla madre. Tutte in un italiano perfetto, addirittura con i congiuntivi che gli "indigeni" ormai ignorano. Quindi si passa all'inglese. I colori. Green, brown, etc. La bambina dice uit per white e la madre le fa un'affettuosa scenata.Si dice: "uait".Poi si parla di catechismo, cresima, etc. Accanto a me gli italiani indigeni continuano ad abbattere mostri e a chattare. I filippini salveranno l'italiano e anche le tabelline. E forse anche il lavoro. .

mercoledì 22 febbraio 2017

Perplesso, parte seconda: applausi a destra e a manca


Oltre al low cost della prostituzione in Grecia, altri servizi mi hanno dato molto da pensare, ieri, seguendo di Martedì. Di Bersani mi è piaciuta .l'onestà intellettuale con cui ha preso le distanze dalle narrazioni di destra e sinistra riguardo il governo Monti, anche in un confronto in diretta con Elsa Fornero. In sintesi quel governo attuò provvedimenti impopolari, necessari per dimensione, ma che avrebbero potuto avere un segno diverso nel segno dell'equità. “Abbiamo dimenticato lo spread oltre i 500 punti – chiede Bersani – noi che ora siamo terrorizzati per lo spread a 200”? Applausi ripetuti del pubblico in studio a Bersani e qualche applauso anche all'ex ministra. Applausi anche quando Bersani contesta l'abolizione indiscriminata dell'Imu, nonché la narrazione berluscon-renziana della riduzione della pressione fiscale tout court ovvero del “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Pubblico di sinistra? Poi arriva Salvini. Immancabile. Propone per l'ennesima volta la flax tax ovvero una tassazione del 15% indifferenziata sui redditi di poveri, ceto medio e ricchi. Tutti pagherebbero le tasse – dice Salvini – e il saldo per lo Stato sarebbe positivo. A parte che abbassare le tasse stimolerebbe investimenti nazionali e dall'estero, stimolerebbe i consumi (immagino anche di champagne, slot machine e prostituzione). Ricetta opposta alla famosa e ingiuriata “decrescita felice”. Applausi scroscianti. Come per Bersani. Solo più intensi e più lunghi. Da parte dello stesso pubblico di prima. Immagino che quelli fra il pubblico che sono tassati del 16% calcolano che risparmierebbero l'1%. Quindi, bravo Salvini! Non è il caso di dubitare evidentemente che il risparmio di un 1% di irpef sarebbe strapagato con la privatizzazione di sanità, scuola, trasporti, etc. Ma appunto, i populisti sono bravissimi ad esibire paradisi nascondendo la polvere delle diseconomie e delle ingiustizie sotto il tappeto. Poi, come da copione, Salvini mostra i benefici effetti dell'uscita dall'euro e dalla Europa. Applausi vibranti. Ma segue l'intervista a Salvatore Rossi, direttore della Banca d'Italia. Praticamente demolisce, pur senza citare il leader della Lega, l'intera narrazione eurofobica salviniana. E disegna scenari catastrofici se il progetto di Salvini si realizzasse. Contesta anche la favola salviniana (ma un po' di tanti) di uno sviluppo precluso da Bruxelles che non ci consente di indebitarci. Non risultano storicamente casi di sviluppo avviati dal debito disinvolto. Dice su questo cose simili a quelle di Bersani che aveva proposto di chiedere all'Europa solidarietà nell'accoglienza piuttosto che sforamenti di due miliardini. Che, per inciso, nella narrazione populista sembrano due miliardi che l'Europa ci ruba, piuttosto che miliardi sottratti alle generazioni future. Non potevo crederci: applausi anche al direttore della Banca d'Italia. Non proprio intensi come al leader della destra, ma quasi. Dallo stesso pubblico che prima aveva applaudito Bersani e poi Salvini. Sono stato attento: erano proprio gli stessi. Conclusione. Vado a letto stremato e coi capogiri. Con una provvisoria conclusione. Il mondo sarà distrutto da quella che a sproposito chiamiamo “democrazia”. Che, senza iniezioni massicce di istruzione e ragione, ci consegna a votare contro noi stessi.

martedì 21 febbraio 2017

Perplesso

Seguo di Martedì sulla 7 . C'è qualcosa di drammatico e triste. E'  il servizio che fotografa l'impoverimento di un Paese, la Grecia, dal mercato della prostituzione. Impensabili tariffe low cost in piccoli postriboli di Atene: Tariffe da 10 euro e anche meno. Che però molti non possono pagare. Entrano, guardano gratis e vanno via. E la giovane prostituta contenta perché da barista guadagnava 20 euro al giorno ed ora ne guadagna 100. L'altra faccia della medaglia è la crisi drammatica delle rinomate e lussuose case di piacere. La titolare di un famoso postribolo che a suo tempo sponsorizzava una squadra di calcio ora può farlo più. Sembra l'intervista tipica all'imprenditore in crisi di commesse. “Avevo 20 impiegate e ne ho solo 5”. Mi faccio piccole domande prima di andare a letto. “Anche in questo caso la soluzione è un bonus per stimolare i consumi”? Seconda domanda. “E' tutta colpa della perfida Europa e della politica dell'austerità”? Di altre perplessità dirò domani. Buona notte. 

domenica 19 febbraio 2017

Qualche parola sul nulla. Le parole del segretario dimissionario che scatenano irrefrenabili applausi.

1. “Scissione” è una brutta parola. C'è n'è una peggiore: “ricatto”. 
Commento. “Scissione” non è una brutta parola. Descrive un fenomeno normale. Se le ragioni per stare insieme vengono meno ci si divide. “Convivenza forzosa” è una brutta parola. Come quando una moglie sceglie di subire le prepotenze del coniuge perché non ha alternative. “Ricatto” è una parola priva di senso, soprattutto in politica. Sempre si sta insieme offrendo e chiedendo qualcosa. Tutti i negoziatori si ricattano vicendevolmente. Cioè negoziano. I prepotenti attribuiscono all'altro il ricatto. Il marito alcolista si dice ricattato dalla moglie che minaccia di lasciarlo se non smette di bere e di picchiarla.
2. “Nessuno ha il copywrite della parola “sinistra”.
Commento. Sì, nessuno lo ha. Ma questo non significa che chi si dice “di sinistra” sostenendo le ragioni dei deboli, dei precari e dei senza lavoro debba stare con chi sostiene le ragioni di Marchionne e dei multiproprietari di case, solo perché anche questi si ritiene “di sinistra”. Eventualmente ci si mette d'accordo per evitare confusioni di omonimia. Chi sta con Marchionne si chiamerà “sopra” e chi sta con gli ultimi si chiamerà “sotto”.
Mi dichiaro molto allarmato per quegli applausi. Molto allarmato per la perdita della ragione. Molto allarmato per il fatto che i comunicatori del nulla appaiono insostituibili.

sabato 18 febbraio 2017

Qullo che raccatta la cicca, la rom col bimbo condannato, il treno lurido e la sinistra PD al Teatro Vittoria

Prendo il trenino di Ostia per andare al Teatro Vittoria ad ascoltare le ragioni “degli scissionisti”. Al solito quello che vedo nel percorso mi ispira nelle lenti che inforcherò durante l'incontro.. Alla stazione di Ostia osservo un uomo non particolarmente sospettabile di povertà raccogliere una cicca per terra, esaminarla e metterla in tasca. Poi salgo su una carrozza più indecente che mai. Vecchia e fatiscente, imbrattata di annunci di Giovanni che ama Maria e di Stefania che ama Alfredo (ma nessuno/a ama la sua città evidentemente). Poi osservo lo sporco di anni sui finestrini, fuliggine ed altro in un impasto osceno. Per fortuna non vedo turisti sul trenino: una vergogna in meno. Mi dico la solita cosa del tutto inutilmente: “Ma in che senso manca il lavoro”?C'è un mucchio di lavoro che aspetta i disoccupati. Ci penserò anche dopo camminando veloce verso il Teatro Vittoria e osservando il verde pubblico e i giardini (compreso quello dedicato ad una “resistente”) trascurato e ingombro di immondizie varie. Non c'è lavoro? Prima di scendere ho visto una rom che attraversa le carrozze con un neonato e chiede elemosina. Un neonato usato e già condannato. Perché salvarlo non è nell'agenda politica delle tassazioni e dei bonus. Arrivo quindi al Teatro Vittoria già notevolmente irritato. Il Teatro è già pieno. Sono entrati prima gli invitati, dicono a me e all'amico Giuseppe con cui mi accompagno. Centinaia di persone restano fuori. Di tutte le età. Molti giovani: colti. Due addirittura discutono del sistema elettorale australiano. Seguiremo i lavori in piazza su uno schermo. Lo schermo esibisce il logo di democraticisocialisti di Enrico Rossi. Ha i colori del logo PD. Lo interpreto come un segnale che oggi non si annuncerà la scissione. Col piccolo dubbio che si tratti invece di una svista, una dimenticanza.

Parla Rossi, poi Speranza, poi Emiliano. Nessuna differenza avvertibile nei tre candidati. Le differenze sono quasi solo di stile. Con Emiliano che confessa che nell'intesa fra i tre lui è quello che deve fare ridere un po'. La differenza più evidente è in Rossi che ha deciso di scomodare una parola impegnativa: “Socialismo”. In un'epoca in cui solo le facce sono diverse mentre i nomi delle cose da combattere sono eguali, a destra e sinistra: austerità, troika, finanza, neoliberismo. Una vecchia parola - con i concetti e le passioni che porta con sé – quale “Socialismo” è una scommessa interessante e coraggiosa. Anzi una sola volta Rossi dice “Socialdemocrazia”, invece che “Socialismo”. Credo perché imbarazzato per lo scolorimento della socialdemocrazia un po' ovunque e in Europa soprattutto dove i partiti aderenti al Partito Socialista Europeo mai pronunciano la parola “Socialismo”. Abbastanza coerente il discorso di Rossi rispetto a quella parola impegnativa. E simile ai discorsi di Speranza ed Emiliano che pur non scomodano il socialismo. Gli ultimi e le periferie abbandonati dalle sinistre mondiali e dal PD renzizzato e consegnati alle destre che almeno sono capaci di agitare un comodo nemico cioè gli immigrati. Abbandonata dal PD o banalizzata con risorse risibili la lotta alla povertà. Mentre il PD di Renzi distribuisce bonus, incentivi e detassa la prima casa anche ai miliardari. Emiliano aggiunge l'argomento ecologico a proposito delle belle coste pugliesi devastate da trivelle. Insomma, secondo i tre, nulla di sinistra è rimasto nel PD di Renzi. Che ha scelto l'amicizia di Marchionne e l'inimicizia col sindacato. E perso, ad esempio, il favore dell'elettorato storico degli insegnanti Infatti il PD è già stato abbandonato da larga parte del suo popolo. I tre candidati in sintesi chiedono: a) una svolta programmatica, da definire in apposita Conferenza, b) l'impegno ad un sostegno al governo Gentiloni fino a conclusione della legislatura, c) una gestione condivisa del partito.


L'ultima richiesta mi sembra quella assolutamente non esaudibile, pena l'appannamento definitivo del ragazzo prodigio che non fa patti, rottama qui e là e litiga con tutti, Europa compresa, per non perdere il match con i populisti, magari rimuovendo la bandiera della Ue. Più probabile addirittura è che mantenga la promessa di un tempo, uscendo dalla politica, per poi tornarvi magari a sperato furor di popolo. Dei tre candidati è Speranza quello che più chiaramente sembra chiedere a Renzi una uscita di scena più che collegialità decisionale. Anche oggi col ricordo della generosità di Veltroni e di Bersani nel farsi da parte. 

giovedì 16 febbraio 2017

La battaglia di Hacksaw Ridge e le bussola difficile del pacifismo

La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson non è un film imperdibile. Malgrado sia la storia di un obiettore di coscienza, non è un film pacifista. Il gusto del sangue è prevalente. E infine l'autore usa le parole del personaggio cui la storia è ispirata per superare o metabolizzare l'obiezione di coscienza nell'alveo di un omaggio a tutti quelli disposti a sacrificarsi per una idea, qualunque sia, anche una idea patriottica antitetica al rigoroso pacifista. I motivi conduttori del film non sono particolarmente originali. C'è l'America dura, quella dei sergenti aggressivi verso i “mollaccioni” e ii “diversi”. Che però converte l'ostilità in stima. Perché il pacifista mette ripetutamente a rischio la propria vita per salvare i compagni. Edificante riguardo i meccanismi autocorrettivi della cultura e delle istituzioni statunitensi . Visto in svariati film americani. Peccato che Gibson non metta il dito sulle contraddizioni del pacifismo. Sintomatica la scena in cui il protagonista nell'infuriare di una battaglia corpo a corpo rilancia con una sorta di sberla una bomba giapponese che avrebbe fatto strage fra le fila dei suoi. E invece fa strage fra i giapponesi. Pensavo e speravo che da lì si sarebbe avviato qualcosa come un dubbio o una riflessione. Il fucile no, ma la bomba rilanciata sì? Invece a Gibson interessa la prodezza in sé. Notato che l'interprete Andrew Garfield replica il se stesso protagonista di Silence, chiedendo al dio silente di parlargli.

martedì 14 febbraio 2017

Francamente non mi è chiaro

.
Seguo sulla 7 Di Martedì. Abbastanza interessante l'intervista ad Emiliano e il successivo dibattito. Non capiaco bene lo scopo della successiva rubrica sul tema del lusso. Clienti che comprano orologi da 5.000 o 10.000 euro, parure da notte da 600 euro, cagnolini coi vestitini da 300 euro e cuccette da 2.000 euro, cene di San Valentino da 500 euro.Perché Floris ci mostra queste cose? Per suscitarci invidia sociale? Per suscitarci rabbia? Per sorridere della follia dei ricchi? Per rivalutare una bellla parola come "austerità"? Non mi è chiaro.

lunedì 13 febbraio 2017

Conti e il dilemma della beneficenza: dirlo o non dirlo?

Per l'ennesima volta il senso comune populista si è scagliato contro un esponente della casta dei conduttori televisivi. Al fortunato conduttore di Sanremo non si è perdonata la lauta retribuzione. Come altre volte a Fazio, a Crozza ed altri divi televisivi. Prima Conti ha replicato, alludendo – come si usa fare in tali casi – che è giusto fare beneficenza, senza proclamarlo. Direi che il dire senza dire è una soluzione sgradevole. Gates e molti miliardari distribuiscono la maggior parte dei loro redditi in donazioni varie. E lo dicono. Anzi Gates ci ha già informato di aver diseredato i suoi figli. Mi sembra un segno di intelligenza oltre che di etica. Anzi, soprattutto di intelligenza. Perché non c'è differenza alcuna per la qualità della propria vita nel possedere 10 miliardi invece che 1. Alcuni ricchi sono intelligenti e purtroppo alcuni poveri, sbagliando bersaglio, si dimostrano stupidi. Non ho nulla contro i ricchi. Infatti trovai ridicolo e sciocco il famoso manifesto di Rifondazione "Anche i ricchi piangano". Nessuno deve piangere. Infatti non ce l'ho coi ricchi ma col capitalismo.
Comunque Conti alla fine ha dovuto/voluto mostrare il suo generoso assegno, ma dando così un segnale di resa al senso comune populista. Mi dispiace. Quella cosa che chiamiamo "populismo" è feroce verso i conduttori televisivi e gli show men (Crozza) .come contro la casta dei politici. Riguardo questo Crozza è stato bravissimo nel dire"col c...che lo faccio gratis" e poi ancora: "piuttosto che fare beneficenza, si dia il dovuto e si paghino le tasse".
Qualcuno fece notare che gli infuriati non battono mai ciglio, per strane ragioni, riguardo le super-retribuzioni dei campioni della pedata. Aggiungo che non ho sentito nessuno, tranne me stesso, indignarsi per i 60 milioni annui di Marchionne. Tanto meno per le eredità miliardarie degli eredi dei nostri grandi imprenditori. Ecco, faccio il punto così: "populismo" è risparmiare i super-privilegiati; "populismo" è il disinteresse e l'impotenza a fare giustizia vera. Io non penso che sia possibile fare giustizia con la generosa beneficenza. Insomma mi sento socialista e assolutamente contrario ai populismi.

P.S. Per chiarezza: un rapporto 1 a 10 fra il cittadino col reddito minore e quello col reddito maggiore (conduttori, show men, calciatori, politici, amministratori delegati, imprenditori) sarebbe giusto e sufficiente per premiare competenza e dedizione al lav
oro.




sabato 4 febbraio 2017

Il “mio” La La Land

Confermo che ognuno di noi, vedendo lo stesso film, vede un film diverso. Anche nel caso di “La La Land”. Anche a distanza di tempo lo stesso film ci appare diverso. Quindi quando non condivido del tutto il commento di un amico è ovvio che non lo sto criticando. Sto solo verificando fino a che punto ho visto lo stesso film. Se io,, non ho particolare sensibilità al musical, e ne ho invece ad alcuni topoi (o leitmotiv. o meccanismi narrativi) dell'arte e della cinematografia, racconterò un film diverso, il mio. Nel film pluricandidato agli Oscar i topoi che ho colto e “goduto” sono due, entrambi nel finale. Uno è quello dell'immaginazione che costruisce una storia diversa da quella realizzata, come in “Sliding doors”, con i protagonisti insieme invece che con i nuovi partner. L'altro è quella più frequente della malinconia del ricordo di un amore felice che un evento ha interrotto. E' il topos di “C'eravamo tanto amati” e di “Come eravamo”. Qui con qualcosa di più. L'accettazione piena di quella fine e insieme l'inserire quell'amore passato come parte ineliminabile di sé, complicità nella gratitudine per un dono indelebile ricevuto piuttosto che rimpianto. Assai ben rappresentato nel sorriso finale scambiato fra gli ex amanti. 
P.S. Suggerisco caldamente il film a quelli che si sentono tentati di sopprimere la partner che li ha lasciati.

giovedì 2 febbraio 2017

Dedicato agli inoccupati e ai licenziati che non hanno “logo”


Mi è capitato anche in questi giorni. Leggevo e seguivo in TV le vicende dell'Ilva, quelle di Almaviva e quelle di Omsa. Rischio di migliaia di licenziamento, anzi talvolta migliaia di licenziamenti effettuati.(Almaviva). Per me il diritto effettivo al lavoro è principio sacrosanto, benché sempre violato. Quindi mi sento solidale rispetto alla lotta di chi perde il lavoro e guardo con partecipazione ai cortei di protesta e agli slogan dei manifestanti. Però non riesco a non pensare ad altro. Forse perché amici e persone a me care non hanno lavoro o hanno lavoro precario o hanno perso il lavoro e non hanno alcuna attenzione paragonabile a quella dei lavoratori di Ilva, Almaviva e Omsa, a quelli cioè che hanno almeno un logo che attiri l'attenzione. Non hanno la condivisione e il calore dei compagni di sventura. Loro non fanno notizia. I fiocchi di neve di una valanga non farebbero alcun rumore cadendo uno ad uno. Ogni giorno un Giuseppe, precario in uno studio di architetto, viene licenziato, ogni giorno una Laura, commessa in un panificio, perde il lavoro, ogni giorno un Alfredo dipendente di una fabbrichetta che nessuno conosce smette di lavorare, magari con lo stesso titolare fallito. Ed ogni giorno Luigi, Francesca, Ludovico e Claudia sbattono la testa contro il muro per il concorso andato male, il curriculum ignorato o respinto e cominciano a chiedersi se mai avranno un lavoro e poi una pensione. Nel frattempo mettendo nel cassetto la laurea col massimo dei voti e magari candidandosi nelle affollate selezioni a Palermo per un posto di lustrascarpe, forse maledicendo chi non rivelò che quegli studi faticosi potevano non produrre lavoro alcuno. Nessuno parla di Luigi, Francesca etc. La TV non apre il notiziario con le loro storie individuali e neanche lo chiude. Nemmeno se qualcuno non ce la fa più e decide di farla finita. Sono troppi i licenziati e i senza lavoro e sono troppi anche i suicidi perché facciano notizia. Luigi e Francesca sono parte di quei numeri anonimi: 2milioni di inoccupati in una classe di età, 300 suicidi fra lavoratori e piccoli imprenditori, etc. Numeri senza faccia e senza logo. No, non voglio mettere Luigi e Francesca contro i lavoratori dell'Ilva, di Almaviva e di Omsa. Vorrei metterli insieme invece. Ma non posso farlo da solo. I miei amici di sinistra, se mi leggono, staranno già sorridendo maliziosamente. Qualcuno mi ha già chiesto: “Sei sicuro di stare a sinistra”? Cerco di dirlo come posso. Loro ritengono che vada difeso il lavoro di chi ce l'ha e che andava difeso con l'art. 18 a protezione dei dipendenti delle imprese con più di 15 dipendenti. Anzi la CGIL ha tentato, con lo sfortunata proposta referendaria, di tutelare i lavoratori fino alle imprese con 5 dipendenti. Io penso però che vada difeso e garantito il lavoro di tutti, anche quelli delle imprese con 1 dipendente. Difendere il lavoro e non il posto. Anche con molta flessibilità condivisa. Penso che il diritto ad avere il primo lavoro non venga dopo il diritto di conservare il lavoro che si ha. Penso che si debba e che si possa considerarlo un obiettivo prioritario e realistico. . Si può in vari modi. Fertilizzando il terreno per una sana imprenditoria (semplificazione, legalità) e magari detassando il lavoro. Ma ove questo non basti (e non basta) imponendo quote di inoccupati di lungo periodo (che non hanno diritti minori rispetto agli occupati di lungo periodo) e infine con lo Stato promotore o datore di lavoro di ultima istanza. Lo Stato che assegni terre non coltivate. Lo Stato che organizzi con gli Enti locali un “esercito del lavoro” per gli infiniti bisogni e gli infiniti lavori necessari: bonifiche, tutela del patrimonio ambientale e monumentale, educazione di strada, accoglienza. Non per assistenzialismo (che dicono sia una brutta parola), non per sperperare risorse. Al contrario, per rendere più ricca l'Italia. Ecco il senso del lavoro che la nostra Costituzione chiama “dovere” oltre che “diritto”. Penso che un solo disoccupato sia già uno scandalo. Sono solo a pensarla così. Gli altri a sinistra preferiscono difendere i diritti di chi ha già diritti e spendere vaghe promesse e parole consolatorie per Luigi, Francesca, etc. Io -ammetto – considererò di sinistra solo un governo che chiami tutti gli italiani di buona volontà a cambiare l'Italia in questa direzione: diritto effettivo al lavoro. Insieme ad altro che ora dico solo per titoli: educazione permanente, tutela di salute, bellezza ed ambiente. Mi piace pensare che una tale sinistra possa convincere e governare. Non serve una sinistra che vinca diventando destra.
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mercoledì 1 febbraio 2017

L'ha detto davvero


Non riuscivo a crederci. Invece l'ha detto davvero.
«Il Paese non capirebbe se il Parlamento perdesse un anno a discutere di riforma elettorale, con tutti i problemi che ha l’Italia. La politica non ci farebbe una bella figura. Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini. Sarebbe assurdo»
Il problema del Paese è costituito dai vitalizi? Da questi nuovi vitalizi? Non da quelli di prima? Come non da 950 parlamentari e dai loro stipendi, ma solo da 200 senatori? Non dall'Italia stagnante e depressa? Non dallo spreco immane del 40% dei giovani?
"Ingiusto verso i cittadini". Boh!