venerdì 1 giugno 2012

L'epidemia della furbizia idiota


Il furto è cosa umana e “razionale”. L’omicidio lo è. Lo stupro lo è. Lo è l’evasione fiscale. E’ umano e “razionale” , per quanto odioso, che si soddisfino i propri bisogni – i primari e i secondari - facendo violenza ad altri, se diversamente non si sa fare. C’è nella violenza e nell’imbroglio una ragione, un calcolo o una ragionevole scommessa (di farla franca). Ma non è a questo – non solo a questo - che assistiamo oggi. Non è solo la violenza e il malaffare “razionale”. E’ “razionale”, oltre che drammatico, che un imprenditore chieda ai suoi operai di tornare al lavoro sotto le lamiere del capannone, finite, apparentemente, le scosse sismiche. I clienti premono e i fornitori aspettano di essere pagati. L’imprenditore non si perdonerebbe di aver compromesso, la propria famiglia e i propri dipendenti ( se è altruista) per un eccesso di cautela. Il suo concorrente fa del resto lo stesso calcolo: ognuno è carnefice potenziale dell’altro, come in quel gioco (dove l’ho visto?), quella tortura in cui due sono col cappio al collo e il movimento dell’uno strangola l’altro. Non è diverso per l’operaio che decide, dopo qualche titubanza, di tornare al lavoro. Sarebbe troppo rischioso se lui non lo facesse e lo facesse invece il compagno di lavoro. E non sempre, nelle piccole imprese, il sindacato è presente a garantire un patto di non concorrenza fra lavoratori. Dovrebbe/potrebbe inibire la concorrenza mortale lo Stato, l’arbitro portatore di interessi generali. Ma, al di là delle affermazioni di principio (la sicurezza, il valore della vita umana), non può farlo più di tanto. Non può imporre costruzioni più solide di tanto, né disporre degli ispettori che servirebbero e che costerebbero. Non può pregiudicare la competitività delle aziende e del sistema Italia, con lo spread incombente. Siamo in competizione con la Cina, che diamine! Va bene: sono tutti comportamenti razionali, quelli delle aziende, dei lavoratori dello Stato, degli Stati. Solo che non è razionale per niente il sistema che costringe gli attori ad impiccarsi reciprocamente con lucida razionalità. A questo ci eravamo abituati o rassegnati. Poi però – non sarà una fantasia, un fantasma immaginario? – oggi succede dell’altro ove non è possibile scorgere il segno di una razionalità qualsiasi. Politici affermati e benestanti, politici in carriera che potevano aspirare a tanto se non a tutto, i Penati, i Lusi, i Formigoni, i Bossi, etc., etc. si giocano tutto per un niente. Per la quarta casa, la seconda barca, l’undicesima amante, per sistemare un figlio impresentabile. Già: quello che avrebbe dovuto aver posto nella storia come il fondatore della Padania, avrà un posticino in una nota a piè di pagina come quello che pagava al figlio la paghetta e l’università facile con i soldi del partito (e dei contribuenti). Dov’è finita la ragione? E nel mondo degli affari? Stessa cosa. I Madoff si moltiplicano, pur con qualche specificità nazionale. In Italia con la certezza che non ci sarà accanimento e che in cella eventualmente si sarà chiamati “dottore”. In cella comunque. Forse potrà dire “Ne valeva la pena” un Fabrizio Corona. Lui senza intrallazzi e ricatti non sarebbe stato un divo, ma solo un normale play boy. No, quello a cavallo fra affari e politica (e calcio) non voglio nominarlo. Non nomino il massimo artefice del rimbecillimento nazionale. E poi il calcio. Anche qui nessuna sorpresa se a far intenzionalmente goal nella propria porta è un giocatore mediocre che in banca ha pochi spiccioli insufficienti a garantirgli l’avvio di un’attività, una rendita, un futuro. La scommessa illecita, il tradimento sono un prezzo ragionevole per sistemare il proprio futuro, almeno per chi non soffre di quelle inibizioni che chiamiamo “Etica”. Incomprensibile appare invece il calcolo del giocatore plurimilionario, membro della nazionale, fiero della bella moglie e fiero dell’ammirazione del pargoletto per il papà campione, il campione che pregiudica tutto per un milione in più, il ventunesimo o il centunesimo milione, dall’utilità marginale vicina allo zero. Credo che questo – la fenomenologia dei Bossi, dei Madoff, dei Criscito - sia più allarmante della lucida delinquenza calcolatrice. Che malattia è questa? Ne Il Gattopardo Tomasi di Lampedusa dice di un personaggio che “aveva quella furbizia che in Sicilia usurpa speso il nome di intelligenza”. Posto che quello che valeva per la Sicilia oggi vale per il paese intero, quella furbizia è fra i fattori scatenanti la malattia attuale. Non è la malattia attuale. La produttiva furbizia (pro domo sua, per definizione) del personaggio del Gattopardo, riguarda al più evasori o piccoli abusivi, non Formigoni, non Bossi, non Criscito o Buffon. Questi ultimi sono l’avanguardia di una epidemia di furbizia idiota che rischia davvero di metterci in ginocchio. Perché abbiamo strumenti per reprimere e dissuadere la normale furbizia “produttiva” e paradelinquenziale, non ne abbiamo per sconfiggere l’epidemia di furbizia idiota. Non è più un calcolo razionale, non è il bisogno di un bene, della casa per le vacanze o della cena nel ristorante prestigioso, che sono acquisiti. E’ il gusto malato di aggirare leggi, regolamenti, compiacendosi, dandosi di gomito, inebriandosi nel comprare l’assessore compiacente, nell’invenzione di schede telefoniche di comodo, di prestanomi per le scommesse, per poter dire del vicino, dello Stato: “L’ho fatto fesso”. Così il sistema, non solo ha prodotto la corda in cui lavoratori, imprenditori, Stati, reciprocamente si strangolano nella splendida competizione. Ha prodotto un virus che nell’Italia dei furbi, esaltata dalla pedagogia della seconda Repubblica, troppo facilmente ha attecchito. Sarà difficile produrre una pedagogia della cura di sé e del paese.