lunedì 30 giugno 2014

In margine a "International air show": il comando al femminile


La sinistra ha protestato, come d'uso, contro l'inquinamento acustico e i costi della manifestazione sul cielo di Ostia. Magari protesto anch'io. Ma preferisco dire cose "marginali". Sennò chi dice le cose marginali? Mia moglie era in ansia per quegli aerei che volavano così in basso sulla spiaggia. Infatti abbiamo lasciato presto la spiaggia raccogliendo asc...iugamani e sedioline. Ero un po' in ansia anch'io. Che però non potevo dirlo. Con invidia per le donne che possono esprimere tranquillamente emozioni e paure. Però per me lo spettacolo era costituito dal primo volo, quello dello stormo guidato dal capitano Valentina Papa, normalmente in servizio sui cieli dell'Afghanistan. Il pubblico ascoltava in diretta gli ordini di Valentina e il suo dialogo con la torre di controllo. Ero affascinato dalla voce di Valentina, limpida, sicura. Sarei rimasto dopo solo per confrontarla con quella di un comandante uomo. Comunque nessun "io" neanche sottinteso. E neanche alcun "voi". E nessun imperativo. Solo la descrizione di quello che lo stormo si apprestava a fare. E poi solo avverbi: "su", "giù", "a destra", " a sinistra". Guidare senza comandare, così mi sembrava. Forse è per tutti i comandanti così, ma non so. Avevo l'impressione che fosse un comando al femminile. Poi tornando a casa - guarda caso - ascolto Mixer di Minoli a radio 24. Racconta del programma Apollo. Così apprendo che i test della Nasa avevano individuato in una donna il pilota con i migliori requisiti psicofisici. Successivamente la Nasa aveva scoperto che quel livello così alto era comune a molti ufficiali donne. Ma non fu scelta una donna. Prevalsero altre ragioni: di immagine e di comunicazione. Fu scelto Glenn. Accidenti, mi pare che questo continui a succedere. E costa. Un milione di anni fa le donne iniziarono a pagare il prezzo di una muscolatura meno potente. Continuano a pagare quel retaggio che si trasformò in cultura e senso comune. Sempre meno, ma continuano a pagare. Sempre meno perché la determinazione, il gusto del lavoro ben fatto, l'orientamento al servizio compensano sempre più lo svantaggio di Eva. Guarda un po' a cosa mi ha fatto pensare oggi Valentina Papa...

sabato 21 giugno 2014

All'inizio era il verbo (e il Senato)


All'inizio era la parola. Senato. Il luogo dei vecchi saggi. Si pensò che dovesse deliberare, da solo o col principe. Un tempo. Poi inventarono la democrazia. Il potere del popolo che affida le decisioni ai suoi eletti. Convivenza ed equilibrio fra due concezioni e due poteri: Camera dei rappresentanti e Senato. Intanto il Senato, tranne qualche traccia fossile (età degli eletti e degli elettori, senatori a vita) diventava sempre più democratico. E sempre più inutile. Anzi nocivo perché "slow", nocivo perditempo. Incompatibile con l'era della rottamazione del vecchio e dei vecchi. Bene. Allora lo eliminiamo. Risparmiamo fra l'altro tanti quattrini: argomento sensibile nella seconda Repubblica e ancor più in questo suo scorcio attuale. Ma no, non si può. Non ho capito perché. Ma ci saranno ragioni profonde. Quali siano nessuno lo sa. Perché ora si chiede che faccia questo. Poi che faccia quello. Poi quell'altro. Ora addirittura che possa chiedere di riesaminare una legge votata dalla Camera (basta 1/3 dei senatori per chiederlo). E la composizione cambia continuamente nel corso delle trattative. Non elettivo? No, elettivo di secondo grado. Con rappresentanti delle Regioni? No, meglio dei Comuni. Anzi con i primi e un pizzico dei secondi. Con senatori nominati dal Presidente della Repubblica? No, anzi sì. E perché non l'immunità? Sì, aggiudicato. Ma insomma bisognava trovare qualcosa per riempire di un qualche contenuto un nome glorioso? O non si sapeva cosa fare di Palazzo Madama? Un museo, no? Strani i riformatori movimentisti e semplificatori. Che preferiscono le complicazioni e risparmiare 100 anziché 1.000.

venerdì 20 giugno 2014

Il Paese della felicità batte l'Italia


Il Paese più felice del mondo, il Costarica, batte l'Italia. Il Costarica, valutato come il Paese in cui si vive con più felicità. Qualità ambientale, niente Tav né Mose, tasso di alfabetizzazione al 96%, bassa conflittualità e basso tasso di corruzione, niente esercito, niente F35. Facciamocene una ragione e una consolazione. Sale lo spread della felicità, il più concreto, l'unico che conta, ma sale solo se facciamo una malattia di una sconfitta minore.

giovedì 19 giugno 2014

C'è posto nel carro?


Ho postato recentemente qualcosa sulla ministra Boschi. Poi sulla ministra Madia. Qualcosa di elogiativo. Ho interpretato la mia motivazione come un desiderio (ed una esibizione) di carenza di pregiudizi. Infatti ero stato assai perplesso a suo tempo per quelle nomine. Ieri a Otto e mezzo ho seguito l'intervista al sottosegretario Del Rio. Mi è piaciuto il sottosegretario: sobrio, misurato, informato, per nulla sprezzante verso chi dissente. Mi è venuta voglia di dirlo. Però mi assale un dubbio su me stesso. Sto continuando i miei esercizi di apertura mentale contro i pregiudizi? Oppure sto tentando di salire, come tanti, sul carro del vincitore? Non mi rassicura il pensiero che non ho nulla di tangibile da condividere nel carro: incarichi, benevolenza, etc. Forse semplicemente sono stanco di dissentire. Forse semplicemente voglio condividere la nuova passione nazionale. Come per la nazionale di calcio. Per stare al calduccio del conformismo nazionale. Vediamo. Come cartina di tornasole aspetto di verificare se mi entusiasmerà fra poco anche l'iper-renziano neo sindaco di Firenze, Nardella. Se gli perdonerò la pochezza e la scarsa fantasia del "Mineo chi?". Intanto è bene che io cominci a fare esercizi in senso inverso. Comincio. Nel discorso appassionato del dissidente senatore Tocci all'Assemblea Nazionale PD non mi è piaciuto l'inizio. O almeno mi ha lasciato qualche dubbio. Prima di iniziare la critica puntuale alle riforme renziane, nel metodo e nel merito, ha sentito il bisogno di un elogio sperticato al premier-segretario per la vittoria, per il 40.8% ed altro. A che pro questo? Immagino per non apparire pregiudizialmente ostile. Però mi sono chiesto: "Perché è così indispensabile apparire non ostile"? Io non ricordo di aver premesso a mia figlia il maledetto giorno in cui 60 o più anni fa la sculacciai: "Sei molto brava, buona e simpatica, però.." E nulla di simile feci con il dirigente che nel corridoio del mio centro mandai clamorosamente a quel paese, con urlate irriferibili, più o meno 40 anni fa. Non gli dissi prima: "Lei è un padre esemplare e un esperto di calcio, ma...". Non so se sono cambiato io o cosa è cambiato. Prima di dire: "Non mi piace per niente l'Italicum e neanche le altre cosiddette riforme" debbo elogiare Boschi, Madia e Del Rio. E possibilmente Renzi. Credo che mi serva una consulenza.

venerdì 13 giugno 2014

Gomorra o Song e' Napule


Ho visto Song' e ' Napule pensando a Gomorra. Non molto tempo è trascorso da quando Berlusconi attaccava Saviano. Per colpa di persone come Saviano la mafia italiana è la più famosa nel mondo. E invece è solo terza nel mondo, diceva Berlusconi, non so se documentato una volta tanto. Il leader della destra italiana vestiva panni patriottici. Patriottici ed ambigui. In sintesi: i panni sporchi si lavano in famiglia. Naturalmente l'opposizione – diciamo la sinistra - aveva facile gioco a replicare. Non è Saviano, non è la sua denuncia la causa del discredito di una città o di un Paese. Chi vuole combattere il discredito, combatta la camorra, non Saviano. La cosa curiosa è che poi a Napoli la sinistra o almeno il sindaco De Magistris abbia attaccato la neoproduzione Sky Gomorra con argomenti analoghi a quelli di Berlusconi. Magari un tantino meno rozzi, ma insomma simili. “Napoli e Scampia non sono solo camorra; c'è ben altro.” E' vero: ci sono associazioni e parrocchie attive nel sociale e nella lotta alla camorra. Ma questo non cancella che la camorra ci sia e eserciti la sua egemonia. Rende più meritevoli di elogio quelli che contrastano il degrado in un contesto così difficile e che non si sentiranno offesi nella loro napolitanità ma piuttosto sostenuti da un cinema impietoso e militante. Perché, al netto del gioco delle parti per cui sempre i governi coglieranno il meglio e le opposizioni il peggio, le domande sono: 1.Qual è il saldo della denuncia nei suoi effetti riparatori e nei suoi effetti di discredito? 2.Possiamo chiedere ad un'opera d'arte (romanzo, film, etc.) di rappresentare per intero un oggetto, città o nazione che sia? E' descrivibile un oggetto, una città o altro nella sua interezza? All'uscita dal cinema dove ho visto Song e ' Napule, commedia di discreto successo di pubblico e critica, ho pensato davvero che i registi i fratelli Manetti avessero tentato l'impossibile operazione di rappresentare Napoli intera. In realtà sommando due Napoli. Un po' come quando Mentana (e non solo lui) avendo descritto qualcosa di orrendo di una qualche parte politica, aggiunge subito, con fare cosiddetto bipartisan, che però il leader della parte opposta da bambino ha rubato la marmellata. Il protagonista di Song e ' Napule, musicista per vocazione, trova nella polizia, manco a dirlo con l'aiuto del solito assessore, una sistemazione lavorativa. E trova anche l'occasione di esercitare la propria vocazione vera in un'operazione da infiltrato. Si candiderà nell'orchestra di un talento della nuova Napoli canora, quella del neo melodico Lollo Love per cui i giovani e Napoli impazziscono e si aggregano in emozioni condivise. L'orchestra e il mitico Lollo allieteranno la festa di matrimonio in cui sarà ospite l'irraggiungibile boss della camorra. Bene, il film descrive con leggerezza la cultura della banda musicale e del suo capo. L'ingresso del poliziotto musicista è come l'ingresso di un infiltrato in una banda di gangster: supponenza, arroganza e poi, superata la prova, la fratellanza. La banda musicale appare del tutto contigua culturalmente alla banda camorristica. Un po' come siamo abituati a sospettare per molti divi napoletani, calciatori o melodici che siano. E i supporter deliranti appaiono anch'essi contigui, se non altro per la dipendenza. Lo sguardo su Napoli appare quindi critico verso i suoi miti come verso lo sfascio urbanistico e le brutture dei locali con le insegne di plastica e alluminio anodizzato di pessimo design. Non è Gomorra, per lo sguardo leggero dei registi, ma è il contrario dell'apologia di Napoli. E' la conferma del suo degrado. Poi nel finale la svolta. Il cantante, che per l'intero film abbiamo sentito contiguo alla camorra, rivela al poliziotto musicista: “Ah, temevo fossi un camorrista infiltrato”. E benedice l'amore nascente fra la sorella e il poliziotto. Così la camorra diventa un dettaglio di Napoli. Così il film è diventato obiettivo? L'immagine di Napoli è salva? Direi proprio di no. E' un finale posticcio e consolatorio come una bella copertina su un volume unto e bisunto. Si possono fare film che esaltino la bellezza e l'umanità di Napoli. Ma nessun film può descrivere contemporaneamente l'inferno e il paradiso. Se tenta di farlo fa sbiadire l'uno e l'altro. E poi, come lo stesso Saviano ricorda oggi, i riflettori sulla camorra e sulla terra dei fuochi si sono dimostrati un antidoto al malaffare. Se è vero che a Casal di Principe torna dopo vent'anni un sindaco anticamorra come Renato Natale. Anche grazie a Gomorra e alla bella rappresentazione della bruttezza civile.