martedì 30 settembre 2014

Cosa divide chi. Verso un Partito della Nazione dell'80%?


A Piazza Pulita ieri l'ultima conferma. La conferma della fondatezza del mio quesito. Che posso variamente formulare. Qual è oggi la maggioranza che sostiene il governo? Sbaglio se dico che comprende l'80% del PD e abbastanza meno (per ora) del suo gruppo parlamentare + (in ordine di peso) Forza Italia + NCD e dintorni? E l'opposizione qual è? La minoranza PD + Lega + M5S? Piazza Pulita evidenziava la forte coincidenza di voto dei parlamentari dei presunti opposti schieramenti (Boschi e Santanché, ad esempio che esprimono lo stesso voto in più dell'80% dei casi). Poi c'era la verifica empirica in studio. Sallusti ad esempio sempre più quieto e ieri più quieto che mai, sostanzialmente difensore di Renzi rispetto agli assalti dei suoi nemici interni. Oppure potrei chiedere: su cosa gli ex nemici sono oggi divisi? Non sulle riforme istituzionali su cui nacque il Patto. Ma neanche sul Jobs Act ad esempio. Brunetta anzi chiede a Renzi di tenere la linea, rifiutando mediazioni con la sua minoranza. Molto, molto accorciate le distanze sulla giustizia. E sui diritti civili dopo la svolta filogay impressa dalla compagna dell'ex cavaliere. E neanche sembra più esistere e dividere il bunga bunga che secondo Scalfari, snob e malizioso, sarebbe la differenza fra Renzi e Berlusconi. Su cosa allora sono divisi PD e Forza Italia? E in genere cosa divide chi? Per la verità, se dovessi far riferimento ai toni, l'opposizione più dura è quella della minoranza PD. Di fatto una opposizione più sullo stile del segretario-premier (e sulla forma partito) che sui contenuti programmatici. E allora, finisco col chiedermi: “Perché mai non andare verso un Partito unico (Partito della Nazione va bene?), a guida Renzi ovviamente?”. Mi sembrerebbe un'operazione di chiarezza e di accostamento della forma alla realtà. Un partito dell'80%. All'opposizione la Lega, quel che resterà di M5S e i quattro gatti dell'ex minoranza PD. Questi ultimi oppositivi “estetici” giacché poco altro che l'estetica li divide dal segretario. La Lega e M5S con un pizzico di populismo in più riguardo Europa e immigrati. N.B. Spero di non apparire sarcastico. Inquieto, sì. Il mio disagio è crescente. Con chi starei? Credo da solo, cercando di interpretare il malessere crescente dei miei concittadini che voteranno compatti per il Partito della nazione e che lo faranno credendo che non esista comunque la possibilità che la politica possa far altro che offrire “narrazioni”. Mi piace

domenica 28 settembre 2014

Italy in a day.Come la corazzata Potemkin?


Beh, scherzo. Per fare appello alla libertà di espressione, di amare e non amare, rivendicata dal ragioniere Fantozzi nel grido liberatorio: "La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca". Nulla di simile di fatto per l'opera di Salvatores, e ancor meno per quella di Ėjzenštejn vorrei dire; però difendo il principio. Col supporto decisivo di Rai Cinema, Gabriele Salvatores ha operato il tentativo ambizioso di fotografare l'Italia in un giorno qualunque: il 26 ottobre del 2013. Di spiegare l'Italia. Di esibirne l'ipotetico tessuto connettivo. Per fare questo e pensando di fare opera di realismo, ha invitato gli italiani a mandare i loro filmati più o meno dilettanteschi e maldestri, ma “reali” cioè con gente reale che nasce, lavora, gioca, vive e muore. Da più di 40.000 filmati ricevuti ha ricavato il suo film. Con un'opera di selezione che ha impegnato una forte squadra. E con un montaggio che è il film, insieme alla selezione. Voglio dire che ovviamente dagli stessi 40.000 filmati 10 autori diversi avrebbero realizzato 10 film diversi e raccontato 10 Italie diverse. Sarebbe stata un'Italia meno vera quella ipoteticamente inventata con sceneggiatura preesistente e attori professionisti? Non credo. Credo il contrario. Pur senza attori ma con libertà assoluta di scelta, ad esempio, l'autore assai meno celebre di Sacro Gra, Gianfranco Rosi, ha realizzato un'opera assai più emozionante e convincente sulla vita del Grande raccordo anulare romano e sulle tristezze delle vite di chi vi vive attorno. Fino a sentire e farci sentire la cupa routine dei necrofori filmati mentre al cimitero di Prima Porta operano riesumazioni. Assolutamente coerente con la malinconia e la dolcezza dell'operatore del pronto soccorso che assiste la madre affetta da Alzheimer. Di Italy in a day mi restano frammenti, note sparse, senza melodia che vi dia senso. L'emozione intensissima del padre che assiste alla nascita del figlio. Lo stupore disperato del pensionato che lamenta: "Dirigevo un'azienda. Ora non sono nulla. Anche se so di poter essere utile". Oppure lo sguardo dell'imprenditore sul suo parco mezzi inutilizzato perché la mafia non gli consente di lavorare. O il regredire senile, anche qui, come nel Sacro Gra (quasi un calco), nel rapporto con il figlio a stento riconosciuto. Insomma, Salvatores ha selezionato non so con quale sguardo ed io ri-seleziono col mio sguardo, istintivamente attento al declino. P.S. Titolo inglese, come ogni cosa che voglia apparire importante oggi in Italia. Vedi Jobs Act. O forse ironia? Se ironico, non si comprende.

lunedì 15 settembre 2014

Il mondo inesistente attorno a noi


Una nota leggera ogni tanto. Piccoli eventi che mi fanno capire che spesso siamo del tutto dimentichi che il mondo non ci appartiene. E' dimentica di questo la passeggera più o meno cinquantenne che stamani è seduta di fronte a me sul trenino Ostia-Roma. Avvia al cellulare con un'amica più giovane, forse una nipote, una conversazione o meglio un urlato monologo prodigo di saperi e consigli. Sono così costretto ad apprendere l'intera storia della povera interlocutrice lontana. Problemi familiari e lavorativi e di casa in affitto e di extra dovuti o non dovuti. E lui, il compagno separato della interlocutrice, che non ci sta a questo e non ci sta a quello. Avrei bisogno di chiamare l'amico che mi aspetta alla stazione. Ma temo che non riuscirei a sentire nulla e rinuncio. Invece quietamente un giovane in piedi accanto a me riesce a condurre la sua conversazione con auricolare e microfonino. E non capisco neanche se parli con la sua ragazza o un collega di lavoro. Un eroe stoico o un campione dalle prodigiose risorse uditive. Il monologo urlato non è ancora concluso quando lascio il trenino alla Magliana e riacquisto il piacere del silenzio.

mercoledì 10 settembre 2014

Renzi a Porta a Porta


Commento solo alcuni spunti offerti ieri dalla trasmissione. Una è l'ondivaga filosofia del bonus. In questi mesi il bonus è stato spiegato alternativamente almeno in due modi. A volte come strumento di politica economica. Si immetteva una liquidità di 10 miliardi annui per stimolare consumi e domanda. Per ottenere l'effetto non si sceglieva di far cadere dal cielo banconote nelle città o introdurre gratuiti gratta e vinci. Non ci si affidava cioè alla casualità dei “funzionari della domanda”, cittadini indotti al consumo dalla insperata regalia e da ringraziare come nel vecchio spot berlusconiano di pubblicità progresso in cui si diceva “grazie” al patriottico consumatore. Si sceglieva invece di favorire i non ricchi ma neanche troppo poveri: quelli che comunque hanno uno (o due, se sposati) stipendi. Perché quelli avrebbero facilmente consumato pizze o comprato scarpe nuove ai figli. Infatti si escludevano i poveri veri: pensionati (poveri e no, per la verità), partite iva, inoccupati e incapienti . Perché loro non si sarebbero prestati al sacrificio di consumare per la patria. Si diceva che la povertà avrebbe loro suggerito di mettere gli 80 euro sotto il mattone, in attesa del peggio. Altre volte però si diceva che la filosofia del bonus era quella della giustizia sociale: restituire a chi ha dato troppo o avuto troppo poco. A me è sempre parso che i due obiettivi fossero abbastanza divergenti. Non sarebbe stato così se si fosse deciso semplicemente di elargire 80 euro ai più poveri. Dal primo bonus di maggio si aspetta il benefico effetto del bonus. Gli oppositori di Renzi umanamente (si fa per dire...) sperando che ci fosse effetto benefico alcuno. Perché – sapete? - la nostra è una democrazia saldamente fondata sul “tanto peggio, tanto meglio”. Invece capivo benissimo anche io (che poco so di economia) che gli effetti sarebbero stati visibili a distanza di mesi. Quindi giudicavo severamente i “gufi” e la loro esultanza per il mancato effetto a giugno e poi a luglio e poi anche ad agosto. Anzi avrei voluto suggerire a Renzi di spiegare non solo che gli effetti sarebbero stati tardivi. Ma che forse sarebbero stati invisibili. Come fare ad escludere, ad esempio, che l'effetto benefico degli 80 euro sulla domanda fosse negativamente compensato da altri fattori deprimenti? Bisognava cioè dire che gli 80 euro stavano svolgendo il loro compito frenando un tantino la corsa verso il calo precipitoso dei consumi. Ieri, a Porta a Porta, Renzi non ha detto proprio questo. Anzi, quasi avesse ascoltato le mie critiche (scherzo, ovviamente) alla funzione meramente di politica economica del bonus, ha recuperato la funzione sociale (di giustizia distributiva) del provvedimento. Ha pure ironizzato quasi con le mie parole (scherzo, scherzo) sulla pretesa di imporre ai percettori del bonus di consumare patriotticamente. Purtroppo lasciando così senza risposta la domanda: “Perché non ai più poveri?” A loro dopo, se possibile, ha detto. Così non capisco ancora perché non a loro prima e agli stipendiati dopo. Altra cosa che mi ha colpito nell'incontro a Porta a Porta è la questione incremento del Pil grazie alla rilevazione dell'economia criminale nelle statistiche nazionali, come voluto o permesso dall'Europa. Prima la domanda di Vespa. Poi il nuovo entrato Sallusti dà per scontato che il nuovo sistema di rilevazione ci giovi notevolmente. Senza cattiveria dico che Renzi e Sallusti fanno la figura di scolaretti. Renzi infatti nega i salvifici effetti. E sinceramente (ingenuamente) ammette che si è fatta spiegare la cosa tre volte da Padoan. Ogni tanto (o sempre) i professori servono a qualcosa. E Sallusti incassa, compìto, come mai l'ho visto fare. Insomma, mi dichiaro soddisfatto di essere ignorante come il famoso giornalista e come il premier. Per la verità Renzi (Padoan?) dice che un effetto positivo sui conti c'è ma che è trascurabilissimo. Questa non la capisco proprio. Ma pazienza. Capisco solo un tantino di più Tito Boeri che oggi su Repubblica stronca il nuovo calcolo con l'articolo dal titolo chiarissimo “Perché non siamo diventati più ricchi”. Spero ardentemente che abbia ragione Boeri. Perché sennò, come lui stesso afferma, un'attività repressiva sull'attività criminale (droga, contrabbando, prostituzione) avrebbe un effetto depressivo sulla nostra economia. Resto confuso. E se lo avesse? O si può dire che avrebbe un effetto positivo sul Pil ma non sull'economia?

sabato 6 settembre 2014

Quando si rivela l'ingiustizia


Con il mio compagno di banco di liceo di più di 50 anni fa, generale in pensione, ci si incontra ad Ostia quasi sempre per andare al cinema. Talvolta, come stamani, per una granita di mandorla con brioche nel locale siciliano che frequentiamo. Lui è sempre stato a destra. Infatti per evitare di mettere a rischio l'amicizia, per decenni abbiamo evitato l'argomento. Al più un tocco e fuga. Da qualche tempo qualcosa sta cambiando. Prima mi ha comunicato che non avrebbe più votato Berlusconi. Deluso per i suoi fallimenti e per il suo stile di vita. Poi mi dice che potrebbe anche votare Renzi. E credo lo abbia votato o cioè abbia votato il PD "renziano". Quindi nei momenti in cui si sfiora, pur con meno ansia di una volta, la tematica politica lui appare -diciamo- quasi più piddino di me. Grave. Oggi con granita davanti mi racconta della sua vacanza a Sofia. Tutto bene, tranne...Tranne la povertà di troppi anziani e anziane che edificano, nel centro della città, case di cartone in cui trascorrere la notte. O che entrano nei Mac Donald a raccogliere gli avanzi prima che i consumatori spreconi depositino i vassoi nella sede dei vassoi utilizzati. Il mio amico ex berlusconiano mi ha comunicato la sua emozione. Poi ha detto una cosa incredibile. Qualcosa come: "Ci vorrebbe una forma di comunismo, una specie di comunismo". Aggiungendo, quasi pentito: "Dico per dire". Ed io: "Ci potrà essere. L'importante è trovargli un nuovo nome". Un po' scherzando, un po' no. Poi torniamo a commentare la granita di mandorla. Buona come quella di Avola? Forse sì o quasi. P.S. Ho avuto voglia di raccontare queste cose da Diario forse per sfuggire all'attualità politica normalmente intesa. Non ho la forza di avventurarmi in una discussione sul blocco della contrattazione pubblica o sullo sciopero "bianco" minacciato dalle forze dell'ordine e su parole come "ricatto" per me prive di senso, come "coraggio" ad esempio. E sto pensando agli invasati assassini dell'IS che chiedono ad Obama di fare scendere i suoi uomini a terra combattendo a viso aperto. Così si diceva da ragazzi: "Scendi, se hai coraggio". Così si dice in taluni western. Sciocchezze mischiate all'abominio.

mercoledì 3 settembre 2014

Parlare di scimmie invece che di Palestina


Non è pensabile nell'epoca che viviamo spiegare ai Paesi e alle bande in conflitto le ragioni dell'altro. Non è stato mai facile ed oggi è quasi impossibile. Come se le menti si fossero indurite perdendo quella porosità che in tempi migliori lascia filtrare pensieri diversi dai nostri. Quindi il cinema militante, magari commerciale (non quello dei cineforum), ma militante comunque, ci prova parlando d'altro. Così nella fantascienza o fantasociologia. Meglio parlare di scimmie se si vuole che gli uomini ascoltino, pensa evidentemente Matt Reeves autore di Apes revolution: il pianeta delle scimmie. Sembra esserci riuscito, a giudicare dalle presenze nelle sale. A conferma del potenziale impatto pedagogico della cinematografia “democratica”. Impatto maggiore delle denunzie esplicite, dei bei sermoni e forse anche delle meritevoli “partite per la pace”. Resta il dubbio di cosa si faccia strada nelle menti nel buio e nella solitudine della sala. Nella premessa del film ancora un ammonimento sul rischio del dominio prometeico sulla natura. Stavolta in laboratorio sono state contaminate scimmie per sperimentare un vaccino. Il risultato è che le scimmie evolvono e l'uomo, contaminato dalle scimmie ovvero da se stesso, per via scimmia, muore. Divertente e illuminante il paradosso dialettico esposto da uno dei protagonisti per motivare la sua scimmiafobia: “Loro (le scimmie) ci hanno contaminato”. Beh, è normale nell'attribuzione delle responsabilità fermarsi all'anello della catena dove ci serve fermarci. E' diverso fra Israele e Hamas? Fra Ucraina e “ribelli russofoni”? Resta dunque una colonia umana di indenni al virus fra le rovine di San Francisco. Che nulla sa di una vicina colonia di scimmie governata dal saggio Cesare. Le scimmie, con qualche buona ragione, considerano gli uomini responsabili del disastro né hanno perso memoria della storia di schiavitù antecedente. Poi c'è l'incontro. Perché gli umani vogliono recuperare l'energia di una diga per riconquistare luce ed energia. E qui si apre la doppia dialettica. Fra scimmie e umani. Ma anche fra moderati delle due comunità ed estremisti, scimmie ed uomini. In effetti non appare motivo alcuno di conflitto. Se ci si fermasse alle cose. Le due comunità potrebbero convivere in pace. Sì, come palestinesi ed israeliani. Come Tutu e Tutsi. Etc, etc. Inevitabilmente la moderazione e il dialogo esercitati dai leader delle due comunità apre spazi ai guerrafondai. A chi non dimentica. A chi guarda al passato e non sa immaginare il futuro. A chi è interessato a provocare. A chi è interessato a rispondere alla provocazione. Il pacifista Cesare, come Rabin, è colpito dal suo antagonista. In questo caso per attribuirne la colpa agli umani. A differenza di Rabin, Cesare non è però colpito a morte. Si aprono momenti di speranza e battaglia fra pacifisti che vogliono convivere, scimmie e umani, contro guerrafondai, uomini e scimmie. Ma poi, provocazione dopo provocazione, la logica del peggio prevale e torna la logica comunitaria e razziale. Il moderato Cesare dovrà accettare di guidare le sue scimmie nel conflitto ormai inevitabile. Lo dico grossolanamente e fuori dai denti. Non credo che l'autore di Apes revolution abbia voluto parlare a Netanyau e ad Hamas. Opera del tutto inutile. Come parlare a Koba, la scimmia bellicista o agli uomini che nel film non vedono l'ora di menare le mani. Non si parla di pace a quelli che sono protagonisti grazie alla guerra. Credo che l'autore abbia voluto incoraggiare Abu Mazem insieme agli israeliani che si battano per i diritti dei palestinesi. Quelli che tentano di costruire. Credo che, parlando di conflitto fra scimmie e umani, abbia voluto aggirare le resistenze dei moltissimi che nel mondo assumono posizioni pre-giudiziali . Quelli che nelle risse dei socialnetwork stanno con il governo della Ucraina o con Putin. A prescindere. E che avvertono odore di bruciato, di falso o di congiura davanti a qualsiasi informazione che sembri contraddirli. La scommessa è che interiorizzino dubbi e punti di vista divergenti senza doversi vergognare di farsi convincere. Cosa da “femminucce” farsi convincere nell'epoca triste che viviamo.