venerdì 17 dicembre 2010

La cultura di Sallusti, di Scilipoti e degli studenti

Lo scorso 15 dicembre, due momenti di Exit sulla 7 mi hanno indotto ad una valutazione pessimistica come mai sul futuro del paese, facendomi cogliere segni eclatanti del disinvestimento in intelligenza e cultura.

La prima volta assistendo ad alcuni momenti degli scontri del 14 scorso a Roma fra studenti e forze dell’ordine. Devo premettere che, da sessantottino, non apprezzai il Pasolini che, dopo gli scontri di Valle Giulia, in forma poetica (Il PCI e i giovani), affermava di preferire i poliziotti agli studenti. Mi sembrò, come sembrò a tanti, una provocazione, nell’equivoco intenzionale fra il piano sociale (i poliziotti proletari, gli studenti borghesi) e quello politico.* Dopo sono riuscito a inquadrare meglio quella provocazione e oggi capisco ancor meglio: Nelle immagini registrate dalla 7 mi ha fatto male rivedere la “mia” Roma, allegramente attraversata con i cortei dell’11 dicembre, incendiata e brutalizzata, vedere picchiare gli inermi (a turno poliziotti e studenti: film già visto questo) e, quasi in una citazione della Corazzata Potemkin, vedere genitori cercare scampo fra il fuoco e gli scontri, spingendo il passeggino di un bimbo. Però mi ha fatto male soprattutto vedere gli scudi degli studenti. Erano gli scudi che giorni prima mi avevano emozionato, con la stupenda intuizione dei titoli di libri fondanti la cultura del tempo presente (o appena passato): Il tropico del cancro - Miller, La nausea - Sartre, etc.

Allora, pochi giorni fa e sembra un secolo, gli studenti se ne facevano scudo contro la barbarie dei tagli alla scuola e alla cultura e contro l’incultura dei governanti. Bellissimo! Che intuizione! Altro che Oliviero Toscani! Cosa farà da grande l’ideatore di quella stupenda idea di comunicazione? Forse l’hanno copiata dagli studenti francesi o inglesi? Bravissimi comunque.

Adesso, sulla 7, vedo quegli scudi utilizzati per coprire i lanciatori di sassi e fumogeni. Lo vedo più volte. Non posso sbagliarmi. Ho una fitta al cuore. Come nella improvvisa rivelazione del tradimento dell’amata. E mi viene da pensare che naturalmente quelli che usano quegli scudi non sono quelli che li hanno ideati. Sono bambini inconsapevoli che scarabocchiano la Gioconda.

Penso ancora a Pasolini, rileggo la sua poesia/invettiva: “Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo), ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri…”

E consulto i miei appunti su una precedente puntata di Exit (1 dicembre). Lì lo studio è collegato con la facoltà di Lettere e filosofia della Sapienza. C’è Adinolfi, con una lucida e spietata analisi della guerra generazionale contro i giovani, risarciti dalle paghette dei padri e dei nonni detentori delle vecchie pensioni retributive. C’è Celi del cui invito al figlio a lasciare l’Italia ancora si parla. C’è l’immancabile Sallusti che al giovane studente brillante, domanda, sapendo di cogliere facilmente nel segno (nel suo segno): “Cosa sta studiando?” La risposta è: “Storia contemporanea”. E allora Sallusti può agevolmente predire un sicuro fallimento. C’è il ministro della gioventù, Giorgia Meloni, ed altri. Siamo tutti con gli studenti occupanti. Quasi tutti, diciamo. Quasi tutti i telespettatori, ritengo. Quelli in studio, tranne Sallusti (ci mancherebbe…) e la Meloni che è prudente e “moderata”. Quando però le tocca dire di non essersi laureata (come Sallusti, peraltro), la moderazione non la salva dal cartello irridente che una studentessa, esponente della generazione frustrata e impaurita, agita dall’aula universitaria: “Per essere ministro non serve la laurea. Per essere precari si (sic, senza accento)”. Inascoltata, la Meloni esibisce le sue inutili giustificazioni (la famiglia non agiata, i suoi lavori umili) e il percorso informale della sua formazione.

Sul blog della 7 poi leggerò i commenti dei telespettatori. Ed è tale Manuela a farmi notare il “si” senza accento di cui non mi ero accorto. Ridicolizza così con efficacia la spocchia dei giovani “colti”. Solo che nell’infierire contro la studentessa commette a sua volta un errore e scrive “che’ quello è il tuo posto” e non ché (congiunzione causale). Così un’altra esponente dell’Italia incattivita che non fa sconti, Roberta, le ringhia addosso la replica. E c’è poi la controreplica, anch’essa efficace:”Io ho sbagliato, ma non farò l’insegnante”. Dibattito insulso in tv e sul blog? Sì, in certo senso, ma molto interessante. Pensate alla ricchezza di spunti che studio tv e blog polarizzati sprecano, non potendo nessuno ammettere le ragioni dell’altro per riflettere su una possibile verità . Pensate quanto ci servirebbe invece condividere un concetto di competenza per decidere e promuovere cosa vale e chi vale, cosa non è segno di competenza o è segno di incompetenza. La laurea? La laurea in storia contemporanea (Sallusti)? L’accento mancato? L’apostrofo invece che l’accento? Non voglio dimenticare il segno di speranza rappresentato dall'intervento di Matteosul blog. "Peccato solo che agli italiani, così solerti nelle offese per un accento o una correzione grammaticale, manchi del tutto un talento fondamentale: la capacità di risolvere i problemi". Appunto.

Torno alla trasmissione del 15 dicembre, per l’altro episodio che mi ha messo in crisi. In collegamento telefonico, Domenico Scilipoti, medico, chirurgo, ginecologo, agopuntore, già deputato dell’Italia dei Valori, cofondatore del gruppo di Responsabilità nazionale, ha cercato di spiegare le ragioni della sua conversione e del voto di fiducia a Berlusconi. “Che coraggio!”, mi viene da pensare, formandomi una sorta di pregiudizio favorevole. Farfuglia ripetutamente qualcosa come ”E un attacco alla mia persona, mascalzoni” e continua così senza saper andare oltre davanti ai sorrisi pietosi di Adinolfi e Pardi (mia traduzione: non si può infierire; non è colpa sua). La D’Amico invero interviene e interrompe assai meno del solito ma, quel poco basta perché Scilipoti possa inventarsi un’altra “narrazione”:”Mi interrompete. Mi interrompete” . Risultato: adesso sono certo che non potrò mai votare Di Pietro, selezionatore dell’onorevole agopuntore di Barcellona Pozzo del Gotto. Faccio altre riflessioni sul tema della competenza e della comunicazione. Berlusconi, senza molta originalità, ha ironizzato durante il dibattito sulla fiducia riguardo la cultura di Di Pietro. La rozzezza di Di Pietro, il vocabolario limitato, la sintassi incerta, la fuga dai congiuntivi non mi sembra pregiudichi la sua capacità comunicativa. Quindi – ribadisco – la sua colpa irrimediabile, in nessun modo scusabile, resta rappresentata dal caso Scilipoti.

Agli studenti arrivano ora contestazioni e consigli. Oso dare il mio consiglio, consapevole di essere poco credibile, con la sicurezza della mia pensione retributiva. Proporrei di rivolgersi agli adulti, ai governanti, alla Meloni, alla Gelmini, a Sacconi: “Cosa mi chiedete di fare per uscire dall’incubo, per avere la certezza di un futuro? Che non studi storia contemporanea? Che studi ingegneria o economia? Che mi laurei con il massimo dei voti? Che faccia l’apprendista idraulico? La cubista? Che sposi un ricco? Che faccia il portaborse di un politico? Che tenti la fortuna all’Enalotto?”.

Sicuramente non avrebbero risposta. Allora, se la cercassero e la trovassero da soli, avrebbero le ragioni e le competenze per assaltare il Palazzo d’Inverno e cambiare il paese, anche ridimensionando la mia pensione retributiva (dopo aver ridimensionato benefit e patrimoni, ovviamente, perché la “rivoluzione” non può colpire i più ricchi fra i poveri, risparmiando i privilegiati).


* http://www.pasolini.net/poesia_ppp_pciaigiovani.htm