sabato 28 aprile 2012

Istat, disoccupati e inoccupati: perché non vediamo l'anomalia italiana?


Allora, l'Istat ha pubblicato, le rilevazioni relative al 2011 su disoccupati e inattivi. 2 milioni 108 mila sono i disoccupati 2 milioni 897 mila sono gli inattivi che non cercano un impiego ma sono disponibili a lavorare. Sono prevalentemente "scoraggiati", persone che ritengono inutile cercare attivamente un lavoro: letteralmente dis-perati, privi della speranza che è presente in chi cerca e in chi lotta per avere o mantenere un lavoro. In quanto a tasso di disoccupazione siamo in linea con l'Europa, anzi meglio, mi pare, rispetto alla media europea. Era un dato "sbandierato" dal precedente governo, senza ricevere repliche (tranne che per il dato pesante della disoccupazione giovanile). Rispetto alle forze di lavoro (chi lavora o potrebbe lavorare, se dico bene) gli inattivi rappresentano l'11, 6% , dato superiore di oltre tre volte a quello europeo (3,6%). Speriamo in un + 0,5 di Pil, quando speriamo (non ora, mentre speriamo solo in una recessione moderata) ), ma l'11,6% di inattivi non è potenzialmente un 11,6% di questo benedetto Pil? Grossolanità la mia, lo so. Magari, tenendo conto di questo e di quello, è "solo" un 5% di Pil. Ma non stiamo parlando di un ordine di grandezza incommensurabile con le piccole cose di cui più spesso parliamo? Ho pensato talvolta di non capire. Forse mi sfugge qualcosa, pensavo. Poi però capitava - qualche volta, non spesso- che una Chiara Saraceno o una Irene Tenagli evidenziassero l'anomalia italiana nei talk show televisivi. E allora mi dicevo: non ho le traveggole. Però - accidenti, ricordo benissimo -nessuno, nè condutore né ospite illustre, recepiva o replicava. Quindi resta la domanda: perché non ci interessa? La mia risposta, la mia ipotesi è che non ci interessa perché gli inattivi che non cercano un impiego ma sono disponibili a lavorare non rappresentano un problema di ordine pubblico o di ordine sociale. Non salgono sui tetti, non fanno picchetti, non incendiano e non si incendiano, non si suicidano. No - preciso - penso che si suicidano, ma il suicidio non è interpretato come suicidio per carenza di lavoro neanche da chi si dà la morte. Sarà attribuito a depressione o sarà attribuito all'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso: un litigio, un amore, etc. Se sopravvivono e non strepitano, se sopravvivono con la paghetta di genitori e nonni o con la generosità della Caritas, perché dovremmo porci un problema? L'infelicità muta, senza desideri, ci fa dormire sogni tranquilli. Forse solo evidenziando il maledetto Pil che perdiamo possiamo riscuotere attenzione al problema. Quindi lo faccio anch'io. Quanto perdiamo di Pil? http://www.istat.it/it/archivio/59542 http://www.corriere.it/economia/12_aprile_19/istat-lavoro-inattivi_...

giovedì 26 aprile 2012

La passione dei vecchi, la ricerca dei giovani e la stanchezza degli altri

Oggi siamo pochi a lezione di inglese nel circolo territoriale Pd di Ostia levante. Entra un signore anziano. Ha voglia di parlare e non sa cosa facciamo attorno a un tavolo né gli interessa. Quindi poggia fra i nostri libri e quaderni ritagli di giornali; c'è una pagina del Messaggero con l'hit parade dei miliardari italiani. C'è Ferrero in testa, non ricordo il secondo, un po' sotto Armani, ancor più giù Berllusconi, etc. L'anziano compagno (così si è qualificato intanto) è scatenato contro Monti che non tassa i patrimoni miliardari, si scandalizza che sia tassata sempre più la sua pensione di 1.500 euro; però lui è con Monti, dice (come diciamo tutti noi del PD). Insomma nessuno sa come dirgli che siamo lì per studiare e anch'io sono un po' contrariato o almeno annoiato a sentire discorsi giusti ma scontati. Poi va via e Simona, giovanissima democratica, ci dice qualcosa dell'anziano compagno. Benedetto (mi pare si chiama così) è un ex professore di latino e greco e soprattutto ha 97 anni. 97. Ora non mi interessa più l'inglese. L'irritazione è verso me stesso. Penso a me fra 20 anni e mi sento di escludere che, se sarò vivo, avrò voglia di ritagliare la pagina del Messaggero, contestare il governo tecnico di Fornero junior e tanto meno dibattere se si tratti di un governo tecnico o tecnico-politico o politico, malgrado le apparenze. Poi vado al cinema a vedere Diaz e mi accorgo di essere solo con quattro coppie di ragazzi attorno ai 20 anni. Non sono una comitiva. Ogni coppia sta su una fila diversa ed è lì per vedere il film, evidentemente per capire cosa accadde a Genova durante il G8 del 2001. Naturalmente mi avveleno lo spirito, rimuginando sull'antropologia dei poliziotti, sul gusto della mattanza, sulla poliziotta che non è più donna ma complice nella umiliazione dell'intimità della giovane arrestata. Anche se fosse successo la metà di quel che il film mostra, sarebbe troppo e intollerabile. E poi i titoli finali che ci ricordano che, per la prescrizione, nessuno pagherà e che nessuno è stato sospeso dal servizio. Così intossicato, solo vagamente consolato dal ricordo dell'anziano compagno che protesta e progetta e magari dalle quattro coppie di ventenni che vogliono sapere cosa accadde a Genova in quei giorni maledetti, sento che il sonno non arriva. Perciò mi confido nel web.

mercoledì 25 aprile 2012

La strage per rilanciare l'economia


Ieri, a Ballarò, Paolo Mieli, come se aprisse una innocente parentesi: "La recessione e la stagnazione verificatesi nella prima metà del secolo scorso furono superate grazie - è brutto dirlo - al secondo conflitto mondiale. La ricostruzione promosse nuove energie e sviluppo". Queste più o meno le sue parole. Ma perché "è brutto dirlo"? Il punto è se sia vero o falso. E perché nessuno dei partecipanti replica alcunché all'affermazione "provocatoria" di Mieli? Io direi che la diagnosi era corretta. "Quello" sviluppo fu possibile grazie alla carneficina e alle distruzioni immani della guerra. Egualmente molti parassiti si ingrassano e si moltiplicano grazie ai cadaveri: più cadaveri più vita. E allora quale ipocrita reticenza ci impedisce di auspicare un nuovo conflitto? Ah, le fabbriche aperte giorno e notte a produrre armi! Ah, la domanda di forza lavoro! Ah, i disoccupati, gli inoccupati "scoraggiati" finalmente al lavoro! Niente più suicidi di lavoratori e imprenditori! Solo qualche milione di assassinati, solo tonnellate di macerie e città distrutte che dovranno essere ricostruite. Una pacchia, oltre che per i fabbricanti d'armi, per medici, infermieri, industriali e artigiani di cofani funebri, becchini, ma anche i genere imprenditori e lavoratori. No, non si può dire, non si può auspicare. Si può dire solo dopo, a devastazione avvenuta: "Beh, tutto sommato quell'Hitler, sarà pure stato un criminale, però, senza volere, quanto bene ha fatto!". Non credo proprio di caricaturizzare l'affermazione di Mieli assolutamente condivisa da tanti storici ed economisti. Sola differenza: questi ultimi non ne parlano nei talk show; ne scrivono per pochi dotti lettori o ne parlano in dotti convegni, naturalmente senza nominare parole come "strage" o come "sangue". Si dice di "ricostruzione" conseguente a un evento; in tale "narrazione" la carne e la sofferenza non devono essere nominati. Certo si potrebbe citare il concetto vichiano di "eterogenesi dei fini". I risultati sono difformi e talvolta opposti rispetto all'intenzione degli uomini. Allora la tesi di Mieli può apparire innocente, come se dicesse: "è capitato che una intenzione malvagia, la distruzione e il sangue, senza che nessuno lo attendesse, producessero bene e sviluppo". Una mera costatazione da storico? Non credo, visto come di fatto è condivisa da tanti studiosi dell'economia oltre che storici, studiosi interessati a conoscere il dato per replicarlo, qualora sembrasse utile. Il significato inespribile per pudore è che quel massacro e il conseguente rilancio potremmo replicarlo, se volessimo. Nei secoli scorsi erano il bisogno, l'ambizione, la contesa, la follia a scatenare la guerra e, coerentemente con l'eterogenesi dei fini, benefici non programmati potevano verificarsi. "Graecia capta ferum vincitorem caepit" (I romani vollero conquistare la Grecia che li conquistò). I colonialisti invadevano territori africani e facevano strage di resistenti, a scopo di dominio e ricchezza. Il beneficio non programmato era lo sviluppo e la "civilizzazione" indotti in quelle terre che creavano le premesse per il mondo globalizzato. Ormai sappiamo e non possiamo fingere di non sapere. Domani potrebbero essere tutto programmato ed essere gli economisti a decidere una bella guerra, a tavolino. Non so se ai popoli sarà concesso saperlo. "Sapete? Abbiamo bisogno di rilanciare l'economia. Domani dichiariamo guerra alla Germania. La Merkel è d'accordo". Forse per un po' di tempo sarà necessario inventare una scusa, una provocazione, un conflitto ideale. Poi sarà tutto più limpido. Pensiamoci un po'. Come nella buona fantascienza, l'incubo futuro è già presente nella sua sostanza concettuale. La distruzione già oggi è intesa motore dell'economia. Il tabu è la guerra (quella fra occidentali almeno), non la devastazione ambientale che è comunque guerra all'uomo passando per la natura. In un paese in cui esistono milioni di case inutilizzate, il precedente capo del governo pensava di rilanciare l'economia consentendo l'apertura di un vano, un terrazzino, facendo incontrare i piccoli bisogni del cittadino, in conflitto naturale con i bisogni collettivi, con le ragioni dell'economia che pretende lo scempio perché sviluppo e occupazione siano. Per ragioni che non so pare invece che sia infantile, non scientifico, etc. pensare che gli uomini semplicemente decidano insieme se costruire o abbattere case (non con la guerra, ma con le ruspe, non per il bene dell'economia ma per quello degli uomini). Marx diceva che era questa la differenza fra l'uomo e l'ape: la volontà/capacità dell'uomo di progettare la sua opera. Ma Marx è superato. Sarà riscoperto fra qualche secolo. Insomma mi sarebbe piaciuto che qualcuno replicasse a Mieli. Mi piacerebbe che qualcuno mi convincesse che non c'è altra strada che la distruzione, per salvare l'economia, l'occupazione, la felicità degli uomini. Qualora riuscisse a convincermi, chiederei di scendere, sceglierei un altro pianeta dove vigano altre leggi economiche. .

domenica 1 aprile 2012

Sfregiare la bellezza per essere immortali

Nella scorsa fine settimana sono stato in gita fra i monti laziali e la valle dell'Aniene. Ho visitato fra l'altro il suggestivo monastero di San Benedetto a Subiaco. Non immaginavo tanta bellezza.Io,moglie e amici eravamo forse gli unici italiani, oltre ad una scolaresca, normalmente disattenta e vociante. La prevalenza era di stranieri e di cinesi in particolare (insomma credo fossero cinesi). Poi all'uscita è successo qualcosa che mi succede sempre più di frequente. Quasi un riflesso condizionato di patriottismo e di vergogna che mi induceva a fare scudo col mio corpo affinché i cinesi non vedessero e le loro macchine fotografiche non registrassero. Su una parte del portico un antico affresco e uno scempio incomprensibile. Mani diverse negli anni, con tutta probabilità di scolaresche “in viaggio di istruzione”, avevano sfregiato l'affresco con penne, pennarelli e incisioni con chiavi o punteruoli, variamente segnati dal tempo. Comprensibile (e comunque inaccettabile) che potesse succedere una volta, non immaginando la stupidità e l'incultura dei visitatori. Ma poi? Perché nessuna protezione e nessuna sorveglianza verso le pulsioni all’immortalità dei nostri studenti (studenti di che?). Così per sempre i visitatori sapranno che: Sebastiano ama Maria, Rita ama Federico, Antonio ha fatto l'amore con Anna, etc. D'accordo sulle battaglie simboliche (faccio finta di essere d'accordo), ma quando combatteremo le battaglie vere? E quale conoscenza abbiamo oggi dei nostri ragazzi? Comprendiamo cosa passa per le loro teste quando si esercitano a sfregiare la bellezza? Sfregiano perché sanno o perché non sanno? Per dispetto o per ignoranza? Non dovremmo poter sottrarci a tali domande. Le risposte sono indispensabili per definire obiettivi, strumenti e luoghi della Scuola e della comunità educante e direzione degli investimenti: maggior investimento nella didattica della Storia dell’arte e/o battaglia contro il nichilismo e/o maggior investimento nella proposta di senso per le nuove generazioni. Al monastero intitolato alla sorella di Benedetto, Santa Scolastica, ci aggreghiamo appena in tempo a un gruppo assistito da una giovane guida, preziosa per leggere le stratificazioni architettoniche secolari del monastero, a partire dal periodo romanico. Molto brava davvero. Una laureata in Storia dei Beni culturali? Probabile. Alla fine della visita aspettiamo di capire come e a chi pagare il servizio. La giovane guida ci anticipa. “Chi vuole può lasciare un’offerta in quel cestino”. Si allontana per non metterci in imbarazzo e il cestino raccoglie qualche euro in moneta. Così l’Italia dai mille campanili da 40 anni continua a perdere posizioni anche nell’economia del turismo. Il paese più ricco di storia e di bellezza nel mondo oggi ha 44 milioni di visitatori contro i 54 della Germania e i 79 della Francia. E i nostri archeologi, restauratori, storici dell’arte si dannano l’anima per un contratto co.co.co., accettano una offerta modesta da noi tranquilli pensionati, tranquillamente ignoranti, oppure prendono la paghetta da genitori e nonni. In questo assoluto non senso diventiamo variamente complici degli anonimi giovani sfregiatori di affreschi, in-sensati come loro. “Beni culturali e spreco. Promemoria per Bondi e Brambilla” era il titolo di precedenti riflessioni su temi a questo analoghi. http://www.rossodemocratico.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=2496194