domenica 17 marzo 2013

Lincoln: Scilipoti per vincere


Col titolo alludo al blog di Lerner che, visto il film, invocava: “Nessuno adesso parli di Scilipoti”. Invece io impavidamente ne parlo. L’azione del film di Spielberg, di un film magari troppo lento, ma dalla storia avvincente e con momenti intensi, si concentra nei mesi in cui Lincoln ( premio Oscar a Day Lewis per l’interpretazione), è impegnato nella battaglia della sua vita: l’abolizione definitiva della schiavitù mediante un tredicesimo emendamento alla Costituzione. Occorrerebbero i 2/3 del Parlamento per iscrivere nella Costituzione il principio che sta a cuore al Presidente. E, con tutta evidenza, i 2/3 non ci sono. Il partito democratico è avverso al Presidente. Il partito di Lincoln, il partito repubblicano, è diviso fra istanze moderate e radicali. Queste ultime sono rappresentate da un leader, Thaddeus Stevens ( Tommy Lee Jones), convinto assertore dell’eguaglianza di tutti gli uomini e di tutte le razze. Lincoln, lucidissimo, è disposto a pagare ogni prezzo. Sono due i prezzi da pagare per conquistare la maggioranza. Il primo è quello di remunerare con cariche appetibili parte dell’opposizione. Il secondo è rinunciare ad affermazioni di principio che allontanerebbero i più moderati fra gli avversari della schiavitù. Lincoln si muove su entrambi i piani. E al contempo ritarda la conclusione del conflitto. La fine della guerra metterebbe in ombra il problema. Quindi – si suggerisce – è moralmente legittimo provocare nuovo spargimento di sangue, se questo serve a far prevalere giusti principi. E’ altresì legittimo comprare gli Scilipoti o i De Gregorio di allora. E’ legittimo se il fine ultimo è che l’illegittimità dello schiavismo sia sancita nella Costituzione americana. Immagino – voglio dire – che il Lincoln di Spielberg non avrebbe considerato eticamente accettabile la compravendita a di parlamentari , a fini di personali. Quel Lincoln è un pedagogo in cui convivono idealismo e pragmatismo: "Una bussola ti indica il nord dal punto in cui ti trovi, ma non può avvertirti delle paludi, dei deserti e degli abissi che incontrerai lungo il cammino. Se nel perseguire la tua destinazione ti spingi oltre non curante degli ostacoli e affondi in una palude, a che serve sapere il nord..." E’ l’argomento che convincerà Thaddeus Stevens, l’egualitario “estremista”. Il finale, la battaglia e il voto in Parlamento, è avvincente come un thriller. La destra provoca il leader radicale perché manifesti il suo compiuto pensiero, spaccando il fronte antischiavista. La provocazione non vince e il radicalismo trova dignità e prospettiva in un alveo “moderato”. Lincoln pagherà con la vita la vittoria. Due riflessioni a commento finale. La prima l’ho già espressa e la ribadisco: Lerner ha torto. Ha ragione il nostro Machiavelli: il fine giustifica i mezzi. Che non significa: qualsiasi fine giustifica qualsiasi mezzo. Ovvero: citare Scilipoti è assolutamente corretto. Solo che Lincoln non compra i suoi Scilipoti per fare baldoria a spese del Paese. Il secondo pensiero è: i radicali hanno ragione più spesso dei “moderati”. Se però non sanno aspettare, il meglio diventa avversario del bene e il peggio trionfa.

sabato 16 marzo 2013

Ratzinger e i tempi della vita


Ce lo hanno insegnato e crediamo di averlo deciso. Giochiamo con un inizio e una fine. Studiamo con un inizio e una fine. Lavoriamo con un inizio e una fine. Facciamo sesso con un inizio e una fine. Siamo re e siamo papi, ma anche genitori e figli, con un inizio e senza fine . Abbiamo deciso cosa debba avere inizio e cosa fine. Dopo averlo deciso dimentichiamo di averlo deciso e che avremmo potuto decidere diversamente. Avremmo potuto decidere più libertà e meno istituzioni. Le fasi delle vita si istituzionalizzano e non ne siamo più padroni. Burocrazia e istituzioni hanno bisogno di saperci eguali perché contabilità e amministrazione siano facilitate, anche se siamo eguali solo nell’inessenziale, nell’anno di nascita o nella città in cui siamo nati. Capita che una scoperta tenti di liberarci dalle catene che ci siamo dati. Freud ci fece scoprire la sessualità infantile e ci disse che il sesso non ha inizio. Il più grande forse dei distruttori della convivenza civile nella storia italica ci ha ricordato, a suo modo, odioso e volgare quanto volete, che il sesso non ha neanche fine. Ogni tanto la libertà ci chiede di rinunciare alla fama. Successe alla più acclamata delle cantanti italiane. O ci fa rinunciare a un regno. Successe ad Edoardo VIII di Inghilterra, innamorato di una borghese divorziata. Ora la rottura più forte. Ratzinger che lascia il papato. L’ultimo segno della libertà che mina istituzioni e convenzioni. Istituzioni e convenzioni decisero che dovessimo lavorare fino a 65 anni. Se smetti prima, hai una punizione severissima e perdi tutto, senza recuperare niente. Questa cosa almeno sta succedendo in modo così evidente e per tanti – gli esodati – da assurgere alla dignità di dramma pubblico. E, viceversa, il limite superiore, oltre il quale non è consentito lavorare era così ovvio che dovesse valere solo per i lavoratori dipendenti? Non per gli artisti? Non per i politici? Altrettanto ovvio che non ci fosse fine alcuna per il lavoro di Papa? Non ci è stato consentito pensare a un papa senza più forza e energia o intelligenza o addirittura senza motivazione a continuare la sua missione. Abbiamo pensato forse che comunque la curia avrebbe provveduto al governo. E che il simbolo dell’unità e del potere potesse restare intatto comunque. Anche se diventato una peso intollerabile. Anche se contraddetto da una nuova vocazione, quella della preghiera e della contemplazione “oziosa”. Perché anche ad ottanta anni, o più, nascono nuove vocazioni. Normalmente le censuriamo e spegniamo sul nascere, mancandoci l’audacia di valicare i binari assegnati alle fasi della vita. La nostra vita, fisica e psichica, è un continuum liquido con poche “rotture” : l’improvvisa rottura di un vaso sanguigno o un incontro decisivo. Ma poi altri contenitori istituzionali frenano il libero dispiegarsi liquido della vita che vorrebbe compresenze negate: studio e lavoro, imparare filosofia, ad esempio, mentre si insegna informatica, un amore accanto a un altro amore. Oppure il ritmo della vita chiederebbe una carriera lavorativa discendente, con tempi di lavoro decrescenti e mansioni nuove, accanto ad altre “carriere” ascendenti (la carriera di nonni, ad esempio). Capita che la TV intervisti l’ottuagenario che sostiene “inutilmente” l’esame di laurea in psicologia o in giurisprudenza. Lo guardiamo con un sorriso compiacente. “Che carino!”, “Che buffo!” Vogliamo dire: “Fa una cosa inutile. Sì, bravo, certo. Ammirevole. E però, per quanto tempo potrà godersi la sua laurea inutile?”. Beh, l’ottuagenario ha scelto una laurea perché voleva un riconoscimento, voleva l’attestazione della libertà, non solo il piacere di studiare. Quell’ottuagenario è un ribelle e un uomo libero come Ratzinger.