venerdì 28 marzo 2014

Il merito e il caso nei famosi: l'effetto valanga. E nei leader?


Suor Cristina esibisce il suo discreto talento a The voice davanti a Raffaella Carrà. E' una discreta cantante, ma è suora ed è graziosa. Poi arrivano gli endorsement (proibito dire "appoggio" o "sostegno") di questo e quello. In una settimana cresce la valanga sulla rete che moltiplica le condivisioni. Ora attestata sulla homepage di youtube. Qualcuno proponga bei testi. Chi la fermerà più? Qualcuno proponga anche testi e programmi coerenti ai leader un po' per caso. https://www.youtube.com/watch? feature=player_detailpage&v=TpaQYSd75Ak

giovedì 27 marzo 2014

Educare alla omofobia? Ovvero famiglia che hai omofobo o negazionista ti trovi


Premessa che odio fare, ma che è utile fare: 1. Non sono gay e l'omosessualità è fra le poche “tentazioni” che non ho avvertito nella mia vita. 2. Mi auguro che i miei nipoti non si rivelino omosessuali per il solo motivo che avrebbero una vita scomoda, soprattutto in Italia, come recenti avvenimenti confermano. Premessa conclusa, ricordo che il dipartimento Pari opportunità durante il governo Monti (mettete fra parentesi, per favore, il vostro gradimento complessivo per quel governo) promosse un progetto intitolato “Educare alla diversità a scuola”, con opuscoli educativi finalizzati alla comprensione e alla accettazione della diversità, nonché alla lotta al bullismo. I materiali tentavano di spiegare la normalità dei diversi orientamenti sessuali, anche peraltro storicizzando la questione con riferimenti all'accettazione piena dell'omosesualità in altre epoche storiche (esempi: Giulio Cesare ed altri) e osando osservare l'ovvio: cioè che nella cultura cattolica permane una resistenza alla accoglienza piena dei diritti omosessuali oppure sulla persistenza dell'idea che scopo della sessualità sia solo la procreazione. Il 18 dicembre del 2013 il Ministero dell'Istruzione aveva poi emanato una circolare per lo svolgimento di una “Settimana nazionale contro ogni violenza e discriminazione”. La deputata PD Michela Marzano però aveva colto tempestivamente con una allarmata interpellanza , il clima di sabotaggio evidenziato da prese di posizione dell'on. Toccafondi (NCD), sottosegretario all'Istruzione, contro “l'indottrinamento dei giovani”. Poi le dichiarazioni del cardinale Bagnasco, presidente CEI. In sintesi si contesta che la scuola possa invadere campi educativi propri della famiglia. Fra questi: l'educazione alla sessualità. Ora una nuova circolare ministeriale “sospende” la settimana didattica prevista. Bene, sorvolo per brevità sulla possibile polemica sull'invadenza della gerarchia cattolica. Anche perché infine ritengo che la Chiesa abbia il diritto pieno di manifestare i propri valori. Come altre chiese e associazioni laiche, aggiungo. Tutto bene. Mi aspetterei però una corrispondente autonomia del governo e dello Stato laico. Ancora impossibile in Italia? Mi limito a discutere l'autorevolissima dichiarazione del cardinale Bagnasco. Soprattuto nei suoi presupposti riguardo le agenzie educative. Credo proprio che il cardinale non abbia nozione sullo stato dell'influenza educativa delle famiglie. Per Bagnasco evidentemente genitori omofobi hanno il diritto di educare alla omofobia i propri figli. Come all'antisemitismo, immagino. Perché no? Ma, al di là del diritto, sul piano dei fatti, davvero crediamo che oggi la famiglia sia la massima agenzia educativa? Io non lo credo da tempo. Nella famiglia le bambine e i bambini meno fortunati (molti, moltissimi, troppi) apprendono la normalità del papà che picchia la mamma o che preferisce farsi due birrette stravaccato sul divano mentre la mamma cucina. E la normalità della mamma indulgente verso il figlio bulletto e la figlia che fa denaro col proprio giovane corpo. Oppure apprendono la normalità dei genitori assenti e dei genitori impotenti. La famiglia poi, ammesso che tenti di svolgere un ruolo educativo, si confronta con messaggi educativi divesi e divergenti, provenienti solo in parte minima (purtroppo) dalla scuola (criticabile sempre, ma comunque ultimo vero, pur se sempre più labile presidio, educativo). Perché i vincenti sul piano educativo oggi sono i pari (i coetenai e i compagni di scuola) insieme alla rete. Ma pare che per Bagnasco e il sottosegretario Toccafondi intollerabile sia l'educazione alla ragione e all'accoglienza delle diversità che la scuola voleva praticare. Via libera quindi alle follie e violenze di padri, madri ed ignoti “educatori” della rete.

mercoledì 26 marzo 2014

Dal lungo capitolo "La follia italica": cementificare l'ermo colle


Dal lungo capitolo "La follia italica": cementificare l'ermo colle. Da brividi. Presentato nel 2012 al Comune di Recanati un progetto per una struttura agrituristica sull'ermo colle dell'Infinito, con restauro e “allargamento” di vecchia casa colonica, porcilaia, fienile e deposito, nonché con parcheggio lungo la valle del passero solitario. Immediato ricorso da parte del Fai, Italia nostra e familiari di Leopardi. Il Consiglio di Stato però respinge il ricorso. Boh! Fortunatamente - davvero ! - il ministro dei Beni e attività culturali, Dario Franceschini, dispone che gli uffici competenti diano parere negativo sui progetti che incidono sull'area. Un sospiro di sollievo. Ma persiste la paura. Paura perché sento alla radio una intervista a un erede di Leopardi che mi appare possibilista: se il parcheggio è sotterraneo, bla, bla, e cose così. Paura perché, al di là di questo minacciato scempio, avverto la fragilità estrema della opinione pubblica e della cultura degli italiani. Immagino e temo discorsi del tipo: “Sì, però, non possiamo imbalsamare un paesaggio” oppure (e peggio) “Sì, ma i nostri figli sono senza lavoro; l'agriturismo porterebbe posti di lavoro”. Mi rifiuto di obiettare che conservare il colle dà a Recanati più ricchezza e lavoro che non devastarlo. Mi rifiuto di obiettare con discorsi da bottegaio a discorsi da bottegaio. Lo so, tutto ciò che non è economicamente misurabile è diventato irrilevante. Se la bellezza, la memoria e la gioia non si traducono in euro, non valgono niente. Io, inutilmente, inutilmente, dico: “Siete pazzi. Non ci sto”.

sabato 22 marzo 2014

Fabrizio Barca, riserva del PD


Avevo una strana paura che Fabrizio Barca, intervistato ieri ad Otto e mezzo, potesse deludermi. Perché non trovo oggi altri punti di riferimento credibili nel PD e nella sinistra. Per fortuna no, non mi ha deluso. I più annotano il suo consenso, del tutto impopolare, alle tesi del "boiardo" Moretti in difesa della propria super-retribuzione. Ma Barca ha semplicemente tentato di porre argine agli umori "populistici" che credono di salvare l'Italia "punendo" solo chi è variamente retribuito dal pubblico. La stessa diffusa opinione che nulla obietta contro gli stipendi non inferiori dei divi della TV e quelli 5 volte superiori dei campioni della pedata. Io credo che l'obiettivo di Olivetti (e quello "maoista") sposato a suo tempo da Renzi "nessuno più di 10 volte il meno pagato" sia sempre corretto. A dispetto del mercato. E credo che una Italia coraggiosa dovrebbe perseguirlo. Anche potendo dimostrare ai bulimici di denaro che vivere nella nuova Italia varrà più che accumulare seconde e terze case e ricchezze non spendibili. Questo dovrà valere per le retribuzioni pubbliche e private. Diversamente si introducono veleni culturali che mortificano la dimensione pubblica, assunta come parassitaria. Barca insomma ha invitato solo ad essere coerenti. Ha descritto poi una classe dirigente divisa fra una minoranza che "teme che Renzi non ce la faccia" e una maggioranza che "teme che ce la faccia". Lui, Barca, è fra quelli che teme che Renzi non ce la faccia ad attuare l'indispensabile "riformismo borghese" (semplificazioni, competitività, etc.). Perché Renzi forse non ha il coraggio o la possibilità di attuare gli strumenti giusti. Fra questi la patrimoniale da 400 miliardi di cui Barca diceva nella conversazione con il finto Vendola e che Barca non ha sconfessato. Infine il suo lavoro sui "Luoghi idea(li)" per tentare di promuovere un partito non leaderista ma fondato sulla intelligenza collettiva. "Perché non ha sfidato Renzi alle primarie"? "Perché sarei apparso il campione della conservazione". E Barca non lo è.

venerdì 21 marzo 2014

Francesca Pascale e i veleni del populismo


Dell'intervista di Repubblica, oggi 21 marzo, a Francesca Pascale annoto solo questo: "La moglie di Renzi, invece di chiedere l'aspettativa, perché non lascia il posto a una precaria della scuola"? Si potrebbe intitolare "La stupidità umana" oppure "Chiacchiere dal parrucchiere" oppure "Quando le donne sono nemiche delle donne". Preferisco un titolo come "I veleni del populismo". La signora Pascale dà voce a quello che appare evidente agli stupidi (e alle stupide) e che invece è un colossal...e imbroglio. Ognuno che lavora toglie lavoro a qualcun altro. Con tutte le stupidissime varianti: "Le donne lascino il posto agli uomini", "Chi può andare in pensione ci vada per lasciare posto ai giovani", "I benestanti si ritirino dal lavoro per dar posto ai poveri" e via via cavoleggiando. Per la fidanzata di Berlusconi ovviamente il lavoro è un posto, non un servizio. Infatti non si chiederà mai se la signora Renzi sia o no una brava insegnante né si informerà mai della qualità professionale di chi subentrerebbe a una donna, a un pensionato, alla professoressa Renzi . Se i populisti alla Pascale prevalessero, infine non lavorerebbe quasi nessuno, arretreremmo di qualche secolo, la miseria la farebbe da padrona. Ma appunto, il populismo e gli stupidi non governano, spargono veleni di idiozia, lasciando ad altri l'onere di rimettere i cocci a posto.

giovedì 20 marzo 2014

Lei: l'altro è una sensazione


La fine della coppia uomo/donna è fra i leit motiv del cinema recente. Con direzioni di indagine diverse. In Shame l'ossessione erotica compulsiva distrugge la persona donna e lascia l'uomo solo con la sua disperazione. In Giovane e bella per la giovane prostituta il sesso è innocente, asettica occasione di realizzazione che prescinde dal rapporto con l'anima altrui. In Don Jon la tv e l'immagine elettronica inducono all'onanismo, preferito per la sua libertà fantastica al rapporto reale di coppia. In La storia di Adele la scopertà della sessualità lesbica pone in angolo il ruolo maschile. Il cinema vede ciò che succede e però non vuole e non può evitare di esibire speranze e finali vagamente consolatori. Anche in Lei , meritato Oscar per la migliore sceneggiatura, questo succede. Anche qui, come nella buona fantascienza, collocare la storia nella dimensione del futuro e della fantasia permette di costringere lo spettatore ad accettare e introiettare quello che è sostanzialmente già avvenuto e nondimeno non si vuole vedere. Theodore lavora come, produttore di lettere di amore su commissione, in una città che il regista Spike Jonze ha costruito sul set componendo insieme Los Angeles, Shangai e Pudong. Non per caso. Perché la modernità non conosce luoghi e borghi. Perché la modernità tutto separa e tutto ricompone. Infatti...Infatti Theodore, che vive la crisi sconsolata della perdita dell'amore e l'imminente divorzio, decide di acquistare un OS. OS è un Sistema Operativo avanzato ovvero una intelligenza artificiale di cui servirsi con i consueti canali elettronici: computer, auricolare, etc. Theodore pensa di servirsene come di un efficiente segretario. E poiché OS ha una voce, Theodore sceglie che sia una voce femminile: nel film originale quella della bella Scarlett Johansson (bellezza inutile nel ruolo), sensualmente doppiata in italiano dalla bella Michaela Ramazzotti. L'OS decide di chiamarsi Samantha. Tutto bene e tutto come previsto. Solo che l'intelligenza artificiale cresce esponenzialmente sulla base delle sue esperienze. Se dapprima legge e smista mail, successivamente assume l'iniziativa di selezionare e comporre le più belle lettere del “padrone” sì da farne un libro di successo. Cresce la competenza di Samantha e nasce e cresce una competenza emotiva. Samantha partecipa ai sentimenti del protagonista. Anzi interagisce con essi. Fino al progressivo e reciproco innamoramento e ad un momento di orgasmo comune, nella scena più intensa del film: nel buio assoluto dello schermo per alludere all'inenarrabile. Samantha però, nella misura in cui smette di essere mera intelligenza calcolatoria e diventa sempre più umana, comincia a commettere errori. Vuole che Theodore non smarrisca l'esperienza di un corpo. Propone e ottiene quindi di aggiungere la sua voce e la sua anima al corpo di una ragazza interessata. E' un fallimento. Perché il corpo non aggiunge ma sottrae. Samantha infine rivelerà di avere altri amori, 632 mi pare. E cercherà di spiegare a Theodore, troppo attardato nei vecchi canoni della monogamia, che nessun nuovo amore sottrae nulla agli amori precedenti. Samantha va via insieme agli altri OS verso un mondo che non sa descrivere. Il mondo rarefatto dell'anima? Il paradiso? Debole la conclusione del film come in tutti i film che non osano fino in fondo. Theodore con una donna “reale”, consolatorio ritorno alla “normalità”. Molti hanno letto Lei come un film sulla solitudine. Giusto, in un certo senso, come condizione insita in ogni uomo, non solo in un momento o in uno specifico uomo. Leggo Lei come un film filosofico, consapevolmente o no, ispirato a Hume, l'esponente della filosofia empirica-scettica del '700. Diceva Hume nel suo capolavoro, Trattato sulla natura umana: "Da parte mia, quando mi addentro più intimamente in ciò che chiamo me stesso, m'imbatto sempre in qualche percezione di caldo o di freddo, di luce o d'ombra, d'amore o d'odio, di dolore o di piacere. Non riesco mai ad afferrare me stesso senza una percezione, né posso mai osservare qualcosa che non sia una percezione. [...] Il resto del genere umano non è altro che un fascio o collezione di percezioni differenti, susseguenti le une alle altre con rapidità inconcepibile, e si trovano in perpetuo flusso e movimento". Appunto, non ci sono persone attorno a me, ma fasci di sensazioni, tattili, olfattive, visive, uditive. Che componiamo e scomponiamo continuamente. Sicché del presunto oggetto persona selezioniamo talvolta una sensazione sola, tattile, olfattiva, visiva, uditiva. Talvolta associandola ad altri fasci di sensazioni di altra provenienza, come nelle invenzioni onanistiche. O, al contrario, scegliendo di isolarla e di amarla da sola così come Theodore ama la voce (l'anima?) di Samantha. Sento l'urgenza di una confessione privata. Riguarda la ragazza che amai platonicamente da adolescente e che per due anni seguii infaticabilmente, ogni pomeriggio, sul lungomare della mia città. Fascio di sensazioni meramente visive: il corpo minuto, il viso acqua e sapone, i lunghi capelli corvini sulle spalle. Poi un amico comune me la presenta. Sento la sua voce. Come per un interruttore l'innamoramento si spegne all'istante e per sempre.

Se mi piace Briatore


Per anni ho usato i nomi di Daniela Santanché e di Flavio Briatore per riferirmi a quella Italia che detesto. Ora mi sento disorientato. Ieri, 19 marzo, ho seguito l'intervista di Daria Bignardi a Briatore e improvvisamente Briatore mi è piaciuto. Ci ho pensato e penso di avere trovato la spiegazione. Mi è piaciuta la sua sincerità assoluta. La descrizione impietosa di una generazione che perde tempo con l'università e lo studio e non capisce che deve semplicemente cercare il lavoro, cercarlo dove c'è e dove c'è entusiasmo e sviluppo: in Cina, in Africa. Non in Italia e neanche in Europa, un continente in declino. Solo lavorando, mettendosi alla prova, facendo esperienze e intrecciando relazioni, si trova il lavoro migliore e ci si realizza. Poi l'amicizia con Berlusconi “che sembra attrarre il peggio attorno a sé”. Giudizi e toni assai meno faziosi rispetto a quelli della corte dell'ex cavaliere. Giudizi “obiettivi” che evidentemente oggi Briatore può permettersi. E insieme, senza imbarazzo, l'amicizia e la stima per Renzi. E' la verità la narrazione di Briatore? No. E' un pezzo della verità, una faccia della medaglia. Molto meglio e più che i cincischiamenti su “un po' di questo e un po' di quello”. Una verità preziosa per stimolare l'altra verità, quella più vera, quella, ad esempio, della istruzione permanente e dell'autoformazione assistita, nell'intreccio col lavoro e con la realtà, che aspetto contro la scuola e la formazione inutili e la noia degli studenti sui banchi. La verità inconfutabile degli ultimi saccheggiatori del pianeta, quella di Briatore. Contro l'altra verità, quella per cui non ci sarà futuro. Ma Briatore parlava del presente e delle generazioni attuali. E non parlava dei rifiuti umani irrecuperabili. Grazie allora per la sua verità. Briatore ha ribadito la sua intensa amicizia per Daniela Santanché. Giacchè non vige alcuna proprietà transitiva, continuo a detestare la sua amica, campionessa della bile senza fondo, mentre resto compiaciuto di me stesso e della mia accertata capacità di azzerare il pregiudizio. P.S. Stranamente le stesso giudizio positivo per Renzi (bullo fiorentino, l'unico che che ce la può fare) veniva anche dall'altro intervistato, Corrado Augias. Straordinaria convergenza di destra e sinistra cui ci stiamo abituando. La sinistra altra non c'è ancora.

giovedì 6 marzo 2014

Snowpiercer: metafora dell'alienazione umana


La fantascienza - almeno la migliore - parla sempre del presente o al più del domani imminente. Deformando il presente, apparentemente tanto, in realtà pochissimo. Così Snowpiercer del talentuoso regista coreano Bong Joon-ho. L'introduzione del film allude ad avvenimenti del presente 2014. C'è la nota scoperta del progressivo riscaldamento globale, il prezzo pagato al cosiddetto sviluppo che – dicono - non si può fare a meno di pagare. E comunque – lo sappiamo – faticosi e deludenti sono i tentativi di distribuire i costi di una riduzione delle emissioni fra nazioni sviuppate e nazioni in via di sviluppo. Poi, nel film, c'è la scoperta che il riscaldamento ha ritmi più veloci di quanto si credesse ed ha effetti già rovinosi. C'è però la fiducia positivistica – illusoria - nell'uomo e nelle sue risorse: la scienza e la tecnologia. Sicché si decide di riparare al riscaldamento globale con lanci nello spazio di una sostanza salvifica. Ma qualcosa non torna: il mondo precipita in una sterminatrice epoca glaciale. La glaciazione come una delle possibili conclusioni della vicenda umana, insieme al disastro nucleare, al terrorismo chimico-biologico, alla crisi alimentare o semplicemente alla rottura di un sistema integrato – troppo integrato – che, ad esempio, nel Medioevo prossimo venturo, romanzo apocalittico di Roberto Vacca, dove un banale incidente per un cielo troppo affollato di aerei, rapidamente ci fa tornare indietro di secoli. Nel racconto del film si deve a Wilford, geniale ingegnere appassionato di treni la salvezza di sparsi gruppi di umanità. I superstiti sono ospitati nel treno rompighiaccio che attaversa ininterottamente, ormai da 17 anni la Terra gelida. Il treno, nuova arca di Noè, è però rigorosamente compartimentato. Le classi sociali, che qualcuno ritiene ormai estinte, sono state compattate autoritariamente sul treno. A differenza che nella realtà non ci sono ambiguità, non c'è la frantumazione dei ceti attuali e non c'è la speranza/inganno attuale della promozione sociale per alcuni. Del resto, conta tanto che un 1% o un 10%” sia promosso? La semplificazione dell'arte filmica dice più verità delle analisi complesse, divaganti e fuorvianti. C'è una classe di proletari ammassati come in vagoni bestiame ed alimentati con strani intrugli proteici. Ci sono guardiani in divisa e senza. Nei vagoni un po' meno distanti dalla locomitiva ha posto la classe media che gode di finestre sul mondo esterno. E poi via via l'élite che ha addirittura acqua per lavarsi e scuole. Il clima nei vagoni della classe inferiore è simile a quello dei lager nazisti. Periodicamente un certo numero di bambini è deportato non si sa dove. Periodicamente ci sono rivolte. Sempre concluse con un massacro. Due i leader dei vagoni proletari: il vecchio Gilliam e il giovane Curtis. Perfetta e integrata coppia di mente ed azione. Sicché si verifica l'ennesima rivolta, guidata dai due leader. E la rivolta stavolta giunge fino alla locomotiva. Curtis vuole penetrarvi, l'asiatico che lo accompagna con pochi sopravvisuti alla battaglia finale, no. Lui crede di aver scoperto che di anno in anno il gelo si sta sciogliendo. Forse si può vivere fuori dal treno-lager. Lui vuole usare l'esplosivo che ha provvidenzialmente accumulato per aprire una breccia verso la libertà. Però Curtis entra nella locomotiva e incontra il demiurgo. Wilford è un topos classico. Un po' il capitan Nemo di Verne, un po' il Kutz di Conrad.: genio e spietatezza. In Snowpiercer però per un attimo scopriamo le ottime ragioni del “cattivo”. Ottime al punto che il protagonista ne appare conquistato. Wilford, ormai stanco, propone a Curtis di prendere il suo posto alla guida. E spiega. Spiega il miracoloso equilibrio che tiene in vita l'umanità concentrata nel treno. Gilliam, il saggio leader dei proletari, in realtà era un complice. L'equilibrio demografico del treno impone stragi periodiche. Indispensabili le rivolte e indispensabile che appaiano spontanee. Gilliam aveva questa preziosa funzione. Così all'annichilito protagonista improvvisamente tutto appare chiaro e razionale. Appare razionale e giusto anche al pubblico, credo. Il mondo – ci hanno insegnato – vive per una intima saggezza sistemica. Ce lo insegnò Malthus e ce lo insegna la teoria economica moderna. Splendido equilibrio fra domanda e offerta, insurrogabile funzione degli imprenditori e dei privilegiati i cui consumi alimentano l'occupazione, etc. E il famoso Menenio Agrippa aveva spiegato così bene ai plebei fuggiti sull'Aventino che le classi sono tutte indispensabili e che debbono collaborare. Come nel corpo di un uomo: il cervello, le braccia, il ventre. A qualcuno tocca la parte del ventre. Allora i plebei furono persuasi. E ancora sono persuasi. La nuova versione dell'apologo di Agrippa sembra persuadere anche Curtis. Sembra sul punto di accettare. Poi Wilford mostra un congegno occulto del treno. Sono le braccia minute dei bimbi sequestrati a permettere il movimento. Peraltro i proletari sono sul treno solo per produrre figli e braccia. Questa è la Provvidenza. Questa è la Mano nascosta che si serve di passioni e debolezze per garantire la sopravvivenza della razza umana. Così il treno cammina per il suo eterno tragitto. Già, sopravvive il treno. Sopravvive l'economia, no? Ma treno ed economia sopravvivono per cosa? La distruzione del treno e l'estinzione della specie sarebbero peggio di quell'orrore? No. Così Curtis ha un radicale ripensamento. Supera le seduzioni della logica dell'alienazione umana: l'economia, la specie, il treno che valgono più dell'uomo, del suo dolore e della sua felicità. Vince la tesi dell'amico asiatico che rifiutava di negoziare con Wilford. L'esplosivo lacera il treno che deraglia e precipita. Si salveranno una donna e un bambino. Gli occhi spalacati nello sterminato ghiacciaio scoprono nell'orso bianco i segni della vita che sta tornando. Si ricomincia. Come prima?

mercoledì 5 marzo 2014

12 anni schiavo: l'Oscar ai sensi di colpa americani


Hollywood assegna l'Oscar ai sensi di colpa americani. Dopo l'allucinatorio Django unchained di Tarantino e dopo l'affresco di un'epoca e dei suoi dilemmi politici nel Lincoln di Scorzese, con la questione nera e schiavile vista da due registi bianchi . E dopo l'efficace Butler: un maggiordomo alla Casa bianca, di un regista nero che ha sostenuto l'impossibilità di un bianco a girare il suo film, vince Steve Mac Queen, altro noto regista nero, con 12 anni schiavo, a mio avviso il meno convincente di tutti. Solo un buon film, non più di questo. Probabilmente Hollywood “democratica” ha voluto premiarlo per premiare un genere. Film costruito su una storia vera, come Butler, e con uno spunto che avrebbe dovuto aprire ad un punto di vista diverso e più stimolante. Perché qui il protagonista nasce uomo libero a New York e conosce la schiavitù, finendo rapito e deportato nel Sud schiavista. Diversi punti di contatto con Butler. Soprattutto l'apprendistato alla condizione schiavile, con la pratica della dura dissimulazioe per sopravvivere. Analogie anche nelle figure femminili: l'ambigua femminilità delle schiaviste, protettive ma fino ad un certo punto. La schiavista di Butler che fa dono della Bibbia al giovane nero, futuro maggiordomo, quasi vergognandosi della propria generosità e la schiavista del film di Mac Queen che si dà pena per la schiava cui sono stati sottratti i figli, ma poi fa frustare la nera colpevole di essere il sollazzo del marito. In 12 anni schiavo in compenso appare assai efficace la rappresentazione dell'ipocrisia delle convinzioni religiose: i proprietari delle piantagioni, bravi cristiani, espertissimi nel citare i Vangeli senza sospettare contraddizione alcuna con la pratica schiavile della frusta e dello stupro. Forse al film di Mac Queen sono mancati attori paragonabili ai bravissimi Forest Whitaker, Ophra Winney e Vanessa Redgrave di Butler o gli interpreti e la sceneggiatura di Django e Lincoln . In compenso meritato l'Oscar alla non protagonista. Lupita Nyong'o interprete della schiava che non si rassegna e che disperatamente e inutilmente chiede al protagonista di regalarle la morte. Così ricordiamo che non è solo il regista l'autore di un film. Un po' è dello sceneggiatore, degli attori, dell'autore delle musiche, ma anche del pubblico che, se ha già visto Djanco, Lincoln e Butler, è un pubblico che si aspetterebbe altro. Magari un film sulla schiavitù oggi: quasi 30 milioni di schiavi oggi nel mondo. Il cinema ancora non ne parla. http://www.lastampa.it/2013/10/18/esteri/nel-mondo-trenta-milioni-d...

lunedì 3 marzo 2014

Matteo Salvini, l'arte, la grande bellezza e la grande bruttezza


Ci sono quelli capaci di enunciare una evidente verità e poi costruirci sopra deduzioni e corollari improponibili. Fra questi Matteo Salvini che commenta freddamente l'Oscar a Sorrentino e a La grande bellezza. Orbene, il segretario della Lega Nord si rammarica che il cinema italiano non porti nel mondo esempi della fatica e del lavoro italiano, più che parodie del bunga bunga e cose simili. Similmente Berlusconi contestò Saviano e Gomorra che esportava, a suo dire, l'immagine di una Italia camorristica. Credo che Salvini e Berlusconi non capiscano davvero. Certo, sarebbe bello esportare l'immagine di una Italia non cialtronesca e non mafiosa e vincente contro le cialtronerie e le mafie. Salvini e Berlusconi non riescono a capire però che l'intelligenza e la rappresentazione del male è già in sé contrasto al male. Dovremmo spiegare a Salvini e a Berlusconi cos'è un'opera d'arte. Peraltro il cinema italiano non solo ha raccontato la grande bruttezza culturale della classe dirigente nel film di Sorrentino e la grande bruttezza architettonica e sociale in film come Sacro Gra di Gianfranco Rosi. Ha raccontato anche il lavoro e la sua etica in film come L'ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi. Lì la distesa immane dell'immondizia nella discarica romana sulla quale il protagonista sdraiato ritrovava la sua umanità era davvero La Grande bellezza. Ma come spiegare a Salvini e a Berlusconi che una distesa di immondizie può essere sublimata e resa splendida dall'arte? Io non ci riuscirei.