domenica 21 agosto 2016

Mendicità e buonismo

Ancora su mendicità. Ancora su rassegnazione. Ancora su buonismo impotente. Stamani ho preso con mia moglie il consueto caffè ad un tavolino del consueto bar del centro. Al solito si accosta qualcuno a chiedere qualcosa. In cambio di niente o di qualcosa di inutile. Non distinguo sostanzialmente le due categorie. Nel mio strano pensare i lavori finti (comprese le attività improduttive assistite) non si differenziano dalla mendicità conclamata. Oggi è una donna matura a chiedere una moneta. Che - confesso - come al solito, non do. Poi succede che la ragazza che serve ai tavoli comincia ad agitarsi. La mendicante aveva chiesto ed ottenuto di prendere qualche bustina di zucchero da un tavolino. Ma aveva preso anche le monete lasciate lì dai consumatori andati via. Naturalmente negando. Niente di tragico. Niente di strano. Strana continua a sembrarmi invece la rassegnazione come quella mostrata dagli avventori del bar. La mendicità appare una condizione insopprimibile, come lo schiavismo una volta. Noi, brava gente, facciamo spallucce. E quasi a nessuno viene in mente di chiamare la polizia. Anche quando succede nei supermercati, il ladro per fame è subito perdonato. Con indignazione buonista se il direttore del supermercato chiama la polizia. Ecco, la nostra bontà oggi è questa. Spallucce, perdono e andare avanti. Con gli scarti della strana civiltà, senza cibo, senza casa, senza istruzione, convinti di non meritare altro che indulgenza e perdono.

Mendicante, oppure...

Si succedono notizie su buone pratiche di accoglienza. Ieri a Riace, oggi a San Casciano. Sembra la scoperta dell'acqua calda. Ovvio - voglio dire - che l'immigrato/a possa lavorare. Ovvio che sia utile a lui/lei. Ovvio che sia utile alla comunità che accoglie. Ovvio che l'integrazione sia bene e la ghettizzazione male. Eppure sembrano notizie di grandi invenzioni o miracoli. Svariate anche le forme di integrazione possibili. Ma c'è un tavolo da qualche parte in quest'epoca di grandi riforme in cui Comuni ed istituzioni varie si scambiano informazioni e know how di buone pratiche? Leggo ora su Repubblica che gli abitanti di una strada in zona Piramide (Roma) si tassano di 5 euro a settimana per pagare l'impegno di un giovane immigrato nella pulizia della strada. Tutto è nato con la domanda rivolta da un cittadino ad un immigrato che mendicava. "Ma tu non preferiresti lavorare"? La risposta è stata sì. Dobbiamo imparare a domandare. Oggi gli abitanti pensano ad un accordo con Ama perché sottragga la quota pulizia della strada alla tassa sui rifiuti.

sabato 20 agosto 2016

I monologhi dell'epoca nostra


All'inizio prendevo un granchio. Vedevo persone parlare da sole camminando per strada. Pensavo non stessero molto bene. Poi ho scoperto che si parla con fili all'orecchio e protesi varie. Oggi però, e anche ieri e l'altro ieri, ho controllato bene. Oggi ho superato l'uomo anziano che continuava a imprecare non so cosa e non so contro chi per guardare bene se non avesse fili e protesi. Poi ho invertito la marcia per guardarlo di fronte. Niente. Insomma c'è un mondo di gente, più spesso anziana, che per strada parla da sola. Non credo succedesse così tanto una volta. Cosa significa? E poi per rassicurarmi un po' mi dico che in fondo non cambia molto parlare con l'auricolare o senza.

domenica 14 agosto 2016

Confessione di ferragosto

E’ successo una decina di giorni fa. Ho sentito il guasto al computer come una provvidenza, la provvidenza che mi liberava dal dilemma se raccontare o no. Ma evidentemente non ho superato davvero lo choc. Sicché decido di raccontare. Mi è capitato di sentirmi vile, oltre e più che impotente. E’ successo durante una passeggiata serale verso il centro di Ostia, con moglie. Un assembramento vociante fra marciapiede e strada davanti a me. Protagonisti un palestrato-tatuato italiano e uno straniero apparentemente dell’Est. Il primo inveisce. Il secondo tace. Poi uno schiaffo violento del primo. Che continua a parlare. E il secondo che non reagisce e dice qualcosa sommessamente. Attorno una decina di giovani. Che fare? Intervenire? Chiamare il 113? Mia moglie mi tira via chiedendomi di passare sul marciapiede opposto. “Che puoi fare? Vuoi finire in una rissa? Vuoi che ci becchiamo una coltellata?” Una signora anziana si rivolge a noi dando per scontata la mia e la nostra approvazione: “Ha fatto bene! Ha fatto bene!” grida inviperita. “Ha fatto bene un corno!” replico io. Ma è troppo poco. Moglie e amici cui poi racconto l’episodio commentano: “Avrà fatto qualcosa”. Ma non riesco a pensare cosa. “Forse gli ha ammaccato con quella moto la macchina parcheggiata lì” ipotizza mia moglie. Non ci credo. Lo straniero è più simile ad un senza tetto e senza tutto che al proprietario di una moto. E se fosse successo qualcosa di simile l’incidente non si sarebbe chiuso con uno schiaffo ma con la chiamata di vigili. 
Vivrò malissimo la mia omissione, la mia fuga. Non posso non pensare che, qualunque cosa abbia fatto lo schiaffeggiato, a parti rovesciate, un rumeno non avrebbe potuto permettersi di schiaffeggiare un italiano né di ricevere solidarietà da tifosi italiani. Non posso non pensare alla remissività di quello straniero. Non posso non pensare alla durezza della condizione di straniero. Non “turista”, ma “straniero”. O “clandestino”. Non posso non pensare alla remissività del popolo del barconi, quello schiaffeggiato, spintonato, schiacciato sottocoperta e soffocato. Non posso non pensare alla remissività delle ragazze costrette a prostituirsi. Quelle cui Papa Francesco ha chiesto perdono. Non posso non pensare come sia ridicolo discutere di merito e giustizia in un mondo in cui conta solo dove si nasce e da chi si nasce. 
Non ho fatto niente per cambiare questo. Non so neanche se sia giusto che io debba sentirmi meglio dopo questa confessione. No, non dovrei.

sabato 13 agosto 2016

Note dall'Italia low cost (parte seconda)

Nella mia passeggiata serale nel centro di Ostia due volte mi capita di cogliere la nuova dinamica delle donne mature che rimbrottano malamente i mariti. La prima coppia è seduta al bar e lui subisce la requisitoria su non so cosa. Incontro la seconda in piedi in piazza. Ascoltano un fedele calco di Renato Zero. Fedele anche nelle divagazioni di pseudo saggezza. Estenuanti più dell'originale. Anche se non mi è chiaro se l'imitatore si renda conto di quanto siano pesanti. Dice qualcosa sulla vecchia Garbatella dove il Palladio (mi sembra) era - così dice - un cinema porno. Il marito dice qualcosa che forse vuole essere divertente. Ma forse è troppo personale. E la moglie gli fa una scenata, sottovoce ma implacabile. E lui abbozza intimidito. Le mogli maturi custodi del nuovo senso comune politicamente corretto ignoto ai mariti. Poi c'è un tale, lavoratore straniero, che mi chiede chi sia il cantante. Gli rispondo che non ne conosco il nome, ma che sta imitando Renato Zero. Quello avanza coprendo la visuale ad un anziano signore che protesta. E quello ribatte: "Ma lei lo ha già visto. E poi è un imitatore, non è Renato Zero". Lo dice davvero. Non sono solo gli italiani ad inventare contenziosi stravaganti nell'Italia low cost dove si godono imitatori di cantanti e di statisti.

venerdì 12 agosto 2016

Ritorno nell'Italia inacidita

Torno a casa da brevi vacanze salentine. Il primo contatto nel rientro a Roma è con una signora con la quali sfortunatamente condivido da poco tempo un garage condominiale. Da così poco tempo che sbaglio qualcosa nell'infilare la chiave nel portone. Solo pochi secondi di incertezza. Ma tanto basta per indurre sospetto o preoccupazione nella signora. Molta preoccupazione e un'ansia sproporzionata. "Sta sbagliando chiave? Se si rompe paghiamo tutti". Roma e l'Italia acida mi dà il bentornato. Prelevata la mia auto in garage mi trovo bloccato sullo scivolo da un'auto, con annessi bambini con bici che fanno capricci. Io, un po' per anticonformismo, un po' perché non ho fretta (ma non si ha quasi mai fretta davvero; se si attiva il clacson è quasi sempre per dire: mi stai togliendo qualcosa che è mio; il mio diritto, il mio tempo prezioso, non sono fesso, non puoi farmi fesso, etc.), un po' per polemica tutta ideale con la signora della chiave dall'Io ipertrofico, sto fermo ad aspettare che i bambini salgano in macchina, che la madre carichi le bici o che il papà sposti di un metro l'auto. Vabbè, passerà un minuto. La cosa strana è che la mamma mi lancia uno sguardo sospettoso e torvo. Come se la mia pazienza non fosse pazienza o tener conto degli altri, ma solo provocazione. D'accordo, forse lo era. Con la signora della chiave e con gli Io ipertrofici dell'Italia acida.