sabato 29 ottobre 2016

Renzi versus De Mita: psicopatologie a confronto

Questa campagna referendaria è un incubo. Per la sua lunghezza, per la sua ripetitività, per la sua forza micidialmente distraente riguardo i problemi del Paese. 
Ripeto che vorrei sapere chi sceglie e con quale criterio i rappresentanti dell’eterogen
eo fronte del No impegnati nei confronti televisivi. Immagino che non si scelgano i più adatti ma che si usi il manuale Cencelli. In questo il fronte del Sì ha l’innegabile vantaggio del solo uomo al comando e di un criterio di selezione più prossimo al criterio dell’efficacia. 
Riguardo il confronto Renzi-De Mita, penso che il primo lo abbia vinto, limitatamente al criterio della efficacia persuasiva. Magari sottovaluto i miei concittadini, chissà. 
Il confronto non ha aggiunto un bel nulla agli argomenti stranoti. Fra questi l’ennesimo scontro fra “cambiamento” e non cambiamento. Sinceramente è su questo che faccio la maggior fatica a comprendere la consistenza argomentativa del fronte del Sì. Sembra proprio incredibilmente che si affermi che COMUNQUE si deve cambiare. Che il cambiamento possa verificarsi in peggio non è ipotizzato. Boh! Su questo De Mita ha replicato ragionevolmente. Ma temo inutilmente. Non è tempo di argomenti ovvi e seri. Il confronto però è stato interessante più per lo scontro fra le patologie di due personalità che per altro. Ho provato addirittura un po’ di empatia (quasi simpatia, diciamo) per Renzi, imbarazzato nella ricerca di un equilibrio fra l’esigenza di strapazzare l’avversario e il “rispetto per l’età e la storia dell’avversario”. Quando però il segretario-premier premette (lo fa sempre prima di fare il duro) : “Col massimo rispetto per …” diventa insopportabile. Di fatto dice: “Col massimo rispetto per gli imbecilli”. Giustamente irritato De Mita. Soprattutto quando Renzi gli contesta acidamente l’opportunismo politico nell’ aver lasciato il PD ove non gli era assegnato un posto in Parlamento per passare all’Unione di Centro. De Mita ha replicato che è importante essere fedeli ai propri valori e non ad un logo e che cambiare punti di riferimento (e amici: Berlusconi, Verdini) è più grave che cambiare logo (la scatola vuota dei partiti odierni). Però lo ha detto perdendo il controllo e l’osservanza del galateo. Ha dato anche del “patetico” all’avversario. Problemi psicologici di scarso autocontrollo tipici dell’età avanzata. Condivisibile e corretta invece la diagnosi: “Parli come se con te iniziasse la nuova Storia”. 
Ho visto e “ammirato” in Renzi l’energia vitale e la freschezza mentale che gli consente addirittura di memorizzare la cronaca (dati e nomi) della Prima Repubblica, fin dalla Costituente. Viceversa grave default da “anzianità” in De Mita che parla di fiducia imposta sul testo della riforma. Un vero sgobbone comunque Renzi: giudizio del tutto disgiunto dall’impiego catastrofico di tale energia rispetto al Paese. Che non sia in grado di comprendere ciò che De Mita cercava di dire è altra cosa. La qualità delle mediazioni e dell’incontro fra culture diverse ma capaci di trovare punti di contatto e dialogo è filosofia politica incomprensibile per Renzi. In sintesi lo spettacolo di ieri rafforza il mio pessimismo sul futuro che ci attende. E continuo a fare appello a quanti coltivano ragionevolezza, sobrietà e dialogo, pur guardando magari, come mi sento costretto a fare io, verso orizzonti lontani, incompatibili con la cultura dell’epoca attuale.

mercoledì 26 ottobre 2016

Tutti innocenti a Gorino

Poiché sono assolutamente determinista assolvo facilmente gli invasati indigeni di Gorino. Anch'io avrei festeggiato con loro la vittoria contro 12 donne e 7 bambini stranieri con braciole alla piastra,salame e vino rosso. Momento conviviale piacevolissimo, immagino. Sarei stato come loro se fossi nato lì. Innocenti anche i governanti che non pensano di investire nell'educazione permanente e degli adulti. Pensano che la buona scuola debba riguardare solo i giovani. Poi ognuno si educa da solo o coi pari o con internet. E se non è preparato ad affrontare i nuovi eventi della Storia sempre più veloce, pazienza. Innocenti i governanti: a loro hanno insegnato che non è un problema. Nessun merito viceversa per il "cittadino"  governatore della Toscana cui forse i genitori permisero buoni studi e che lo dimostra semplicemente esibendo i numeri:11.000 immigrati in una Regione di 3 milioni e 750.000 abitanti come possono essere un problema? Lo sono solo se c'è incompetenza. E volgare speculazione politica, aggiungo. Ok, tutti innocenti comunque, me compreso, da perdonare se da ieri soffro di nausea.

lunedì 24 ottobre 2016

Io, Daniel Blake: versione britannica dell’inferno classista-burocratico

Non una critica cinematografica giacché critico non sono. Dico che è la seconda volta che mi capita di dibattere su un film con tanta naturalezza e voglia di condivisione, con una coppia di sconosciuti coetanei all’uscita dalla sala. Io col nodo alla gola, come –immagino – mia moglie e gli altri. Parto da qui allora. Tutti sorpresi a constatare: “ Ma allora l’inferno non è solo italiano”! Film premiato con Palma d’oro a Cannes, quello di Ken Loach è più efficace di un manifesto politico. Miracolo del cinema vero, assolutamente “impegnato” e assolutamente non intellettualistico. Manifesto rivolto a giovani e anziani, con la storia dell’incontro di un uomo maturo e di una giovane donna. Lui operaio carpentiere, lei disoccupata con figli. Lui che ha perso il lavoro per problemi cardiaci. Entrambi vite ed intelligenze più che normali stritolate da un welfare complicato, invadente, iper-burocratico, cieco. Loach mostra di comprendere assai bene le buone ragioni della burocrazia. Quelle buone ragioni che portano ad un richiamo severo dell’impiegata che tenta un rapporto di aiuto col protagonista da parte dell’implacabile dirigente. Non sono ammesse deroghe e falle al sistema burocratico. Quella ragione burocratica che costringe Daniel a navigare fra centro per l’impiego alla ricerca del lavoro e centro pubblico sanitario per il riconoscimento di una pensione di invalidità. In una drammatica alternativa. Ma, benché malato di cuore, con un infarto pregresso, Daniel non supera l’esame dell’intervistatrice. Per il fatto di non dichiarare problemi di incontinenza probabilmente perde quei 3 punti che gli avrebbero fatto raggiungere i 15. Perché la burocrazia adora i punti che peraltro sono un antidoto all’arbitrio. Ma anche all’intelligenza. Qui è il dilemma difficilmente risolvibile. Egualmente il centro per l’impiego pretende che Daniel dimostri che si sta impegnando nella ricerca di un lavoro. Lo dimostri portando esempi di curriculum inviato ai potenziali datori di lavoro o certificazioni di appuntamenti realizzati. Però Daniel che sa fare quasi tutto con le mani, ma anche col cuore, è un uomo dell’epoca analogica, visceralmente refrattario ai saperi digitali: il mouse, il blocco improvviso del software. Impensabile per lui redigere e inviare un curriculum in rete. Accanto a lui c’è la disperazione di lei, disperazione splendidamente rappresentata da Loach. Con la fame che la induce ad aprire la lattina appena ricevuta dal banco alimentare per ingurgitare pomodori . O ancor più con la sommessa domanda “Potrei avere degli assorbenti”? C’è infine attorno la solidarietà vera dei pari e di quelli esposti come i protagonisti al disastro. Esempi felicemente incarnati di una solidarietà di classe che Loach fa apparire tutt’altro che “ideologica”.

domenica 23 ottobre 2016

Il grande vecchio e il giovane esecutore


V. Veniamo al sodo. Ti ho chiamato perché tu sarai il padrone dell'Italia.
G. Io? Scherzi? In che senso? E perché?
V. Sarai capo del governo, di un governo che governerà davvero. Per tutto il tempo necessario. Almeno due legislature.
E. Pensi che ne abbia le qualità?
V. Tutte quelle che servono. Praticamente non sai niente. Anche questa può essere una qualità. Le tue caratteristiche personali sono ciò che conta. Sei sveglio. Energico. Non sprechi energie con le donne. Non stimi nessuno. Benissimo. Non fai lunghi discorsi. Anche perché non sapresti farli. Benissimo. Non credi in principi e ideologie. Benissimo. Sai sfottere, sai essere insensibile, sai essere spregiudicato. Usi slide e tweet. Ti fai capire da tutti. Perché non sei tentato dai discorsi difficili. Benissimo. Hai tutto.
G. Se lo dici tu... Ma avrò un partito alle spalle? Se sì, quale?
V. Quello in cui stai ora va bene. E' il più grosso ed è anche quello più scalabile. Con le primarie lo scalerai facilmente. Primarie aperte, molto aperte.
G. Come farò a vincerle?
V. Con pochi e ripetuti argomenti. Il principale è la rottamazione. Parola che già ti ho visto usare. I nostri concittadini ormai non capiscono nulla. Quando non si capisce nulla di un auto che va male l'unica soluzione è cambiare autista. Via i vecchi allora, quelli che hanno sempre governato non realizzando un bel niente. E largo alle giovani leve: ragazzi e ragazze, preferibilmente di bell'aspetto.
G. Ma ci ha provato già Berlusconi così…
V. Sì, infatti io puntavo su di lui. Ma è entrato in confusione. Ha pensato di potersi permettere tutto. Potere e giovani donne e notti insonni. E sbeffeggiamenti a quelli più potenti di lui. Ha dilapidato un patrimonio.
G. Ma io sto a sinistra.
V. Sì?
G. No?
V. Stai in un partito che si dice di sinistra. E' un vantaggio. Erediterai l'elettorato di sinistra e conquisterai quello di destra. Li avrai tutti, per fedeltà alla bandiera o per convinzione.
G. Facendo politiche di destra?
V. Vedi? Hai già capito.
G. E' facile tenere insieme destra e sinistra?
V. Per te sarà facile. Puoi usare due argomenti. Il primo: io sono la sinistra che vince. Facendo politiche di destra. Ma questo non occorre che tu lo dica. Eventualmente puoi usare il secondo argomento.
G. Quale?
V. Potrai citare il grande Teng Siao Ping, quello che riportò la Cina alla ragionevolezza. Lui diceva: “Non importa se i gatti sono bianchi o neri. L'importante è che acchiappino i topi”. Puoi costruire le varianti che vuoi a questa geniale affermazione.
G. Fammi qualche esempio.
V. Potrai dire: “Non perdo tempo con discorsi inutili: destra, sinistra e stupidaggini simili. Io penso all'Italia”. Fai qualche smorfietta ogni tanto, per far capire che potresti dire di peggio.
G. Praticamente quale programma attuerò?
V. Liberalizzerai il mercato del lavoro. Solo con la fiducia di poter licenziare si possono fare assunzioni. Ridicolizzerai il vecchio Statuto dei lavoratori. Accidenti: è del 70. Il mondo è cambiato e noi ci teniamo ancora quel ferro vecchio? Liberalizzerai l'uso dei contanti e l'uso del territorio. L'economia riparte se ripartono i consumi: paninifici, sale scommesse, casinò, barche e case. Non è una bugia. E' così. E' il pensiero comune ormai. Solo pochi pazzi pensano alla decrescita felice e cavolate simili.
G. Poi?
V. Subito devi occuparti di una nuova legge elettorale. Una che ti assicuri di vincere anche con 1/5 degli elettori. Si può fare. Quando avrai vinto anche i 4/5 passeranno con te. Mostra i muscoli. Agli italiani piacciono quelli muscolari. E fatti beffe di chi si oppone. Quelli sono gufi. Tifano contro l'Italia. Puoi anche inventarti riforme senza senso. L'importante è che tu le realizzi. Gli italiani apprezzeranno chi fa le cose. Quali che siano queste cose. Anche orrende. Realizzale con le brutte, se serve. Col voto di fiducia e minacciando di mandare tutti a casa. Riforma il Senato, ad esempio. Magari riducendo il numero dei senatori. E' un argomento che manderà in brodo di giuggiole i cittadini. Risparmiare 100 milioni. Chi può essere contrario? I politici che si opponessero si brucerebbero per sempre.
G. Ma, scusa, 100 milioni sono niente.
V. Sì. Ma tu credi che i tuoi concittadini sappiano cosa sono 100 milioni rispetto ai miliardi della spesa pubblica o ai miliardi del debito pubblico? Queste cose non si insegnano a scuola. I cittadini capiscono solo che sono “tanti”: pochi milioni o molti miliardi che siano. A proposito di debito pubblico e di deficit: infischiatene. Fai ai cittadini tutti i regali che servono. Qualche spicciolo ai poveracci e diversi miliardi a quelli che fanno l'economia, che ti possono sorreggere o farti cadere. E – mi raccomando – se l'Europa si oppone, va avanti lo stesso. Anzi, se Bruxelles si oppone è un terno al lotto per te. Avrai la strada spianata. Apparirai il fiero difensore della Patria. Spiazzerai del tutto la destra. E anche la sinistra. Tutti si dicono contro Bruxelles. Tu lo sarai davvero. Impara a dire: “Qui in Italia, non comandano i burocrati di Bruxelles. Nessuno puoi farci la lezioncina”. Conquisterai tutti.
G. Sembra facile.
V. Lo è. Comincia subito. Non mi deluderai.
P.S. Un po' per gioco. Ma nella sostanza è andata così.

sabato 22 ottobre 2016

Romano versus Ferraresi: selezione della classe dirigente ed altre cose

Ieri ho seguito assai poco il Sì o No di Mentana. Sicché aspetto pareri più che dare risposte. Ho seguito il confronto non tanto per verificare tesi ormai più che consolidate e ripetitive. Mi interessava e mi interessa altro. Vorrei sapere chi sceglie i protagonisti dell'incontro. La 7 o gli schieramenti contrapposti? Apparentemente il confronto era squilibrato. Da una parte il quarantanovenne Romano, condirettore dell'Unità, professore e politico di lungo corso e di storia politica fortemente evolutiva: da Bordiga a D'Alema a Renzi. Politico comunque fra i più presentabili, a mio avviso, nel PD. Dall'altra parte il ventinovenne deputato M5S, noto - ho controllato- per essere il parlamentare che meno ha chiesto di rimborsi (quasi niente). Pare che questo sia un titolo di gran merito oggi nel Paese, oltre che in M5S. In attesa che torni la politica vera e che la mitica onestà diventi ovvia e scontata. Mi sono chiesto quanto conti e debba contare l'esperienza e il professionismo della politica (Romano) e quanto la politica come servizio a termine nelle istituzioni, un po' come il vecchio servizio di leva (Ferraresi). I rischi della seconda opzione sono evidenti. Però io simpatizzo per la politica politicante a termine, insieme ad una dimensione politica costante nella vita dei cittadini. E simpatizzo per il ricambio costante della "oligarchia" dirigente. Però certamente il M5S che meglio (o forse solo) sposa tale filosofia si avvolge in contraddizioni macroscopiche. A partire dall'irrinunciabile garante e padrone del marchio, fino al blog proprietario, fino alla ereditarietà del blog, fino alla risibile selezione online dei candidati, scelti magari con 50 voti contro 49, fino all'ancor più ridicola multa per chi, eletto, non rispetti il programma. Fino al mix di idee preziose (salario di cittadinanza, sguardo ecologico) e idee regressive (riguardo euro, immigrati ed altro). Sto a guardare cercando di capire se prevarrà il meglio o il peggio. E cerco di capire perché i "miei" (fino ad un certo punto...) Civati e Fassina restano ai margini e chi e cosa decide che non debbano contare. Nient'altro. Ma è anche troppo.

giovedì 20 ottobre 2016

Il quesito truffaldino

Prendo atto. Il TAR ha respinto il ricorso di M5S e Sinistra Italiana contro il quesito referendario perché il Tribunale Amministrativo sarebbe incompetente in materia. Sarebbero stati competenti invece Cassazione e Presidenza della Repubblica. Qualcuno ha sbagliato e qualcuno ha fatto il furbo. C'è stato di peggio e di più tragico nella storia del mio Paese. Però quale che ne sia l'impatto sugli elettori, dico senza sfumature che la forma del quesito referendario mi appare il massimo esempio di pratica truffaldina fino al ridicolo di cui io abbia memoria.

Renzi-Bersani oppure la politica

Sui giornali fiumi di parole sulle ultime guasconate di Renzi che da Washington non le manda a dire all'Europa. "Bruxelles ci manderà una letterina e noi risponderemo".Bravo, così si fa! Bruxelles contesterà la flessibilità oltre il concordato cioè il deficit cioè il debito aggiuntivo assegnato alle future generazioni e noi risponderemo. Adeguato spazio anche ai mal di pancia di Bersani così attento a replicare agli insulti senza arrivare alla rottura. Dicono che questa si chiama "politica". In spazi minori e senza apparente relazione con le gesta del premier e dei suoi educati oppositori, veniamo informati che i poveri sono ora quattro milioni e mezzo e che nell'Italia dei primati abbiamo superato l'ultimo record di denatalità, nonché prevedibilmente il record di saldo negativo fra nuovi nati e morti. Senza l'invasione degli immigrati fra non molto l'Italia sarebbe una landa disabitata. Però non ci pensiamo troppo. Abbiamo lo spettacolo divertente della politica politicante a distrarci. E continua da mesi l'appassionante dibattito sul Sì e sul No. Ecco, vorrei scoprire che questa politica è solo gioco consapevole e distraente. Vorrei che contemporaneamente, magari in una Italia parallela, come in certi film di fantascienza, noi fossimo impegnati a dividerci e poi decidere su ciò che conta. Immagino una forza politica che propone l'eutanasia dei poveri o propone di organizzare l'accompagnamento all'estinzione dell'Italia, della sua gente senza figli (magari con obbligo di anticoncezionali o sanzioni per chi fa figli, secondo il modello cinese). E propone l'estinzione della sua lingua già tanto bistrattata da Jobs Act e cose così rigorosamente in inglese. Immagino una forza antagonista che riscopre ciò che era dimenticato. Che è logico e possibile chiedere ed ottenere il contributo di milioni di disoccupati per risanare il Paese. Che il lavoro non va inventato con guerre e cemento. Che c'è enorme lavoro per tutti. Che l'ingiustizia fa male agli obesi,oltre che ai denutriti. Ecco, aspetto un confronto su cose serie, fra suicidio e rinascita.

martedì 18 ottobre 2016

Lettere da Berlino: dalla resistenza dei pochi alla Germania dell’accoglienza


Dopo Frantz del francese Ozon ancora un film che prende avvio da un soldato tedesco ucciso. Anche qui, nella trasposizione filmica del romanzo (Ognuno muore solo) che Hans Fallada aveva tratto da una storia vera, la morte di una persona cara avvia una conversione degli animi. Perché la ragione pare incapace di voltarsi verso l’evidenza se non sollecitata da una dirompente emozione. Nella Berlino in festa per i primi successi sul fronte francese, nella Germania adorante il Fhurer e apparentemente priva di opposizione , la morte del figlio risveglia la coscienza dormiente di un padre (Brendan Gleeson, efficace). Che darà un senso al lutto impegnandosi a disseminare la città di cartoline pacifiste e di invettive contro il regime. Scopriremo i risultati di quell’impegno, insieme ai segni di una opposizione latente, nelle sole 18 cartoline –su 285 - che i bravi cittadini tedeschi non consegnano alla polizia. Film utile, questo di Vincent Pérez anche se di pregio discontinuo. Pregevoli certamente due frammenti. Il primo è il ritratto del poliziotto che scoprirà l’autore delle cartoline , mandandolo a morte con la moglie (la bravissima Emma Thompson). Decisiva nella sua conversione che lo porterà al suicidio la violenza su di lui della Gestapo che gli fa scoprire che non c’è salvezza certa per nessuno nel dispotismo, neanche per i piccoli funzionari del terrore. Il secondo frammento è la sobria seduzione della moglie che invita il protagonista ad una pausa di sesso consolatorio: il sesso perenne consolazione del dolore. Vedendo il film mi sono sorpreso a riconoscere vie conosciute nel mio viaggio a Berlino, in concomitanza coi mondiali di calcio . “Quel ristorante cinese era la casa di Hitler a Berlino” mi diceva la guida. “Lì la Gestapo aveva suoi uffici”. Mi consolò aver visto attraversate da folle sorridenti manifestanti per la vittoria tedesca ai mondiali di calcio. quelle vie che il film mostra popolate di folle inneggianti ad Hitler. Ora penso semplicemente che quelle 18 cartoline non consegnate alla polizia furono fra i semi che, dopo la liberazione dalla vergogna nazista, restituirono la Germania al consesso civile, facendola oggi protagonista nella resistenza alla xenofobia in una Europa nuovamente minacciata dal virus nazionalista e dimentica delle tragedie recenti.

sabato 15 ottobre 2016


Due anni e mezzo fa l'Avvento


Il premier, prima insiste nel porre il discrimine fra tempi nuovi e tempi vecchi a due anni e mezzo fa, casualmente la data del suo avvento. Con grande gioia del predecessore Letta con la cacciata del quale si chiuse il tempo della crisi. Grande esempio di amicizia e rispetto del premier verso il predecessore del suo stesso partito. Poi presenta la manovra con l'ennesima spiazzante battuta rivolta a chi critica la politica dei bonus. "Criticate pure i bonus, ma sono meglio dei malus". Anche se non mi è chiaro cosa e di chi siano i malus, quella del premier è una battuta che da sola vale un governo e vale la defenestrazione di Letta. Non mi è chiaro nemmeno per la verità perché mai il Pil nazionale e pro capite sia stagnante malgrado la pioggia di bonus. Forse i bonus non sono calcolati nel Pil pro capite dei bonificati? Non mi è chiaro neanche il motivo per cui malgrado l'Avvento il Paese resti fanalino di coda, anzi perda ulteriori posizioni, in una Europa che cresce poco, ma cresce più dell'Italia.Tutto il resto mi è chiaro. Se governare è divertire, questo è un governo da ringraziare.

Café Society, la nostalgia come terapia


Ho visto, da “cultore” di Allen, Café Society. Non fra i suoi imperdibili, ma certamente gradevole. Per i dialoghi precisi ed eleganti, con gli immancabili aforismi, per l’ottima fotografia di Storaro, per la colonna musicale anni 30 che è quasi mezzo film. La storia di Bobby, un giovane normale, o meno che normale, cioè “sprovveduto” ed impacciato, spedito dal Bronx alla ricerca di un lavoro qualsiasi nella realtà aliena di Los Angeles presso lo zio, manager hollywoodiano. Lì il protagonista troverà lavori mediocri e un amore vero. Un amore che lo deluderà ma di cui non si libererà davvero, tornando nella sua New York. Nella metropoli troverà un amore normale, una famiglia normale ed anche il successo lavorativo occupandosi di un night club per conto del fratello gangster, di cui, come sempre accade, la famiglia preferisce ignorare il mestiere. C’è in Café Society qualche momento di empatia profonda. Dell’autore verso le sue creature che debbono farsi ragione della rinuncia ai sogni ed empatia della protagonista verso il protagonista che non conviene amare. Perché nel mondo laico di Allen l’amore è poliamore ed è amore intrecciato alla convenienza che suggerisce chi amare. La metafora che ho preferito in Café society è quella amorosa (nel senso di dolcemente “pietosa”) di Vonnie che paragona lo stordito Bobby ad un cervo abbagliato in autostrada.
C’è anche nell’ultimo Allen il sempre presente tema della morte che fa paura e per la quale si irride ad ogni tentativo di consolazione. C’è nell’ultimo Allen la nostalgia come sentimento prevalente. Parigi di Midnight in Paris o frequentemente New York e gli anni 30, luoghi dell’anima, come si suole dire. Nostalgia come fuga da un presente privo di fascino, incomprensibile e ingestibile. La nostalgia rende ancor più belli i colori della città e i tramonti. Rende affascinanti le inutili mega dimore di Hollywood . Rende simpatici anche gli assassini di una volta e divertenti i rituali dell’occultamento dei cadaveri. Mi chiedo se ci sarà fra 50 anni un regista che avrà nostalgia per gli anni che stiamo vivendo. Anticipare il suo sguardo sarebbe terapia radicale per il malessere attuale.

Montanari versus Violante

Prima del confronto Crozza era stato efficacissimo nella parodia di Zagrebelsky, dall'eloquio difficile e smozzicato. Ottimo poi il confronto sulla 7, moderato da Mentana, con Luciano Violante e Tomaso Montanari, rispettivamente in difesa delle ragioni del Sì e del No. Per una volta assenza di sovrapposizioni, assenza di smorfiette per dire "che cavolo dici"? Massima chiarezza possibile. Di Violante, a suo agio nella materia che gli è propria, non ricordo bene che cosa non mi piace. Di Montanari che conoscevo per scritti ed interventi nella sua materia - storia dell'arte- mi ha sorpreso la competenza costituzionale e politica. Ho appreso anche qualcosa che non sapevo. Ad esempio che al titolo incredibile della riforma e del quesito referendario in sede parlamentare era stato proposto emendamento da M5S. Resta stranissimo comunque il silenzio fino a ieri sul tema. Nel dibattito si sono altresì ben chiarite le ottime e incontestabili ragioni per cui il quesito avrebbe dovuto essere spacchettato. Si sarebbe così consentito anche a me di votare Sì a pezzettini della riforma (quelli minori, in verità, come l'abolizione del Cnel). Poi da Montanari la critica all'enfasi sui risparmi risibili (1 caffè per cittadino) e soprattutto alla filosofia centralistica della riforma che imbavaglia i cittadini nei loro territori.P.S. Raccomando alla sinistra che verrà di non perdere di vista Tommaso Montanari.

giovedì 13 ottobre 2016

Pensieri sconnessi

Premesso che non ho cambiato idea sul mio No, e un tantino sì su Raggi, oggi mi osservo a pensare pensieri sconnessi. Ho il vezzo di osservare l'evoluzione di miei pensieri ed emozioni. Oggi la battaglia sul Sì e sul No mi sembra più di ieri una battaglia per o contro il premier. Mi sembra che i più - politici, intellettuali e gente comune come me - non abbiano intime certezze su paventati disastri conseguenti al Sì o al No. Disastri possibili, ma non immaginabili. Si finge di sapere e non si sa. Resto col No perché trovo meno rischioso non cambiare a casaccio, in attesa di cambiamenti davvero ragionati. E perché credo che sbarazzarsi del grande distrattore possa aprire scenari fondati sulla ragione. Ieri eccezionalmente ho seguito un po' La Gabbia di Paragone (che sostanzialmente detesto) e però ieri aveva toni sorprendentemente di sinistra. Succede oggi nella devastante confusione dei nostri valori. Ieri mi ha colpito il servizio sul tema lavoro. Storie di precariato e sfruttamento nel nostro Paese. E storie di giovani in fuga dall'Italia. Storie di alcuni fra i 108.000 che in un anno sono fuggiti e che più spesso non pensano di tornare: radiologi, chimici, laureati e diplomati vari, che in Germania trovano salari dignitosi e certezze. Addirittura rimborso spese per sottoporsi ad una selezione, assolutamente impensabile in Italia. Chi vuole faccia la moltiplicazione fra 108.000 (i giovani in fuga) e 120.000 euro (il costo medio della formazione di un diplomato o laureato). "Incomprensibile" è la parola che mi viene in mente. Oppure "irragionevole". Oppure "folle". Se il nostro Paese fosse un sistema, qualcosa come una famiglia allargata che fa un minimo di conti su investimenti e risultati, questo esito sarebbe impensabile. Ma non c'è nulla di razionale qui. Non credo neanche alla razionalità neocapitalistica cui credono molti miei amici. Quella è presente forse in Germania con un ragionevole (si fa per dire...) 4% di disoccupazione (in parte frizionale e non cronica). Con centri per l'impiego funzionanti e criteri di merito (nei limiti del significato attuale di "merito). Con una leader conservatrice ma che tiene la barra ferma sulla decenza. Che non paralizza il suo Paese per mesi su futili narrazioni referendarie. Sono troppo vecchio per fuggire. Provo a restare coltivando il lumicino della ragione.

mercoledì 12 ottobre 2016

Lo sconto: 730 invece di 950 (senatori)

Vedo che il manager della campagna per il sì è entusiasta di questo argomento. A chi obietta che i consiglieri regionali e i sindaci nominati senatori avranno l’immunità, si risponde che con la riforma il numero di quelli che godono dell’immunità diminuisce. 730 non più 950. Renzi stasera a Rai 3 ha esposto l’argomento con grande godimento. Come dire, vi sto fregando con la mia ineguagliabile dialettica. 
Interessante. Egualmente potremo diminuire il numero delle bocciature proibendo la scuola ad 1 ragazzo su 3. Come non averci pensato prima? Strani paradossi. Succede se la fatica della democrazia viene chiamata “burocrazia”. Succede se la politica viene ridotta a mercato delle vacche. Non è più in discussione se l’immunità serva, a cosa serve, quali rischi comporta averla e quali non averla, a chi è bene sia concessa. Importa a quanti. C’è lo sconto. Cosa vuoi di più? Boh!

domenica 9 ottobre 2016

Beccalossi versus Maraini: con chi stare?

Ieri ad Otto e mezzo la sorella d'Italia Viviana Beccalossi contro Dacia Maraini, col contorno di Enzo Bianco. Scontro su binari scontati. Maraini che descrive la buona pratica accogliente di Pescasseroli, insieme alle ragioni e alle convenienze dell'accoglienza. Peraltro non solo a Pescasseroli gli immigrati si sono rivelati risorsa per ripopolare i borghi abbandonati d'Italia. Per sostituire con pastori etiopi i pastori italiani privi di eredi, o per ereditare i mestieri artigiani abbandonati, come in Calabria, a Riace, etc. Per Beccalossi però - manco a dirlo - gli italiani vengono prima. Anche gli italiani che sono indisponibili a mungere vacche. Anche i giovani italiani - immagino - che per ingannare il tempo vuoto danno fuoco nella mia Siracusa all'ottantenne ambulante. Intollerabile spendere 35 euro (di cui 2 euro e mezzo) per immigrato. Ok. Tutto chiaro. Però Dacia Maraini, nel futile scontro inventato dai grandi distrattori, sta per il Sì. E Viviana Beccalossi sta per il No. Come me. E' grave che io, pur volendo votare come lei a dicembre, non senta vicinanza alcuna verso l'esponente di Fratelli d'Italia e molta sintonia con la scrittrice italiana? Tradisco la causa se non cerco in rete qualcosina che squalifichi Dacia Maraini?

venerdì 7 ottobre 2016

Benigni, Mannoia

Mi dissocio nettamente dagli attacchi a Roberto Benigni. Almeno rivolgendomi agli amici del NO che sono attenti a non desertificare il terreno civile del confronto. Assai più importante dell'esito del referendum. Mi dissocio dalle pessime narrazioni su presunti tornaconti di Benigni. Altrimenti davvero non ne usciamo più. Quale sarebbe il tornaconto di Fiorella Mannoia o di Sabrina Ferilli? Quale sarebbe il tornaconto dei giudici emeriti della Corte Costituzionale? Stiamo tranquillamente nel merito. A parte ciò, pur fautore del NO, confermo la mia simpatia a Benigni. Cui faccio osservare quietamente che evidentemente quella che lui chiamava "la Costituzione più bella del mondo" così bella non gli pareva. Al contrario io che l'ho giudicato buona e avanzata, ma non la più bella del mondo e certamente emendabile, non vorrei affatto cambiare la Costituzione nella direzione voluta da Renzi e da Boschi. Cambiare per cambiare è come dare calci al televisore malfunzionante. Lo si guasta del tutto. Io vorrei ripararlo. Mandando affettuosamente al diavolo i faziosi e aprendo un tavolo di discussione ai convitati della ragione e del bene per il nostro Paese. Perciò voto NO.

Le fantasiose ragioni del Sì che mi inducono al NO

A fronte di taluni argomenti del Sì talvolta penso che dovrei sentirmi offeso. Che tutti gli italiani dovrebbero sentirsi offesi. Trattati come bambini coinvolti in un gioco sfacciatamente ingannevole. O come analfabeti incapaci di fare di conto. Poi ci ripenso. Non abbiamo una buona scuola alle nostre spalle e nemmeno davanti a noi. Lasciamo perdere di chi sia la colpa. Mi basta sapere a chi giovi l’analfabetismo funzionale degli adulti. Il malizioso (o squallido) quesito referendario promette la riduzione dei costi della politica. Come non essere d’accordo? A patto che non si paghi altrimenti tale riduzione dei costi. Così come paghiamo la presunta (inesistente) riduzione di tasse nazionali con aumento delle tasse locali e ancor più con l’onerosità di servizi non più gratuiti (asili, analisi cliniche, etc.). Ma mettiamo fra parentesi anche questo. Risparmieremo dunque 50.000.000 (50 milioni) grazie al taglio dei senatori. Il bilancio di spesa dello Stato per il 2015 è stato di 830.000.000.000 (ottocentotrenta miliardi di euro). Poiché sono un analfabeta funzionale ed un analfabeta di ritorno, come quasi tutti, ho chiesto al mio nipotino di 13 anni: “Quante volte 50 milioni sta in 830mila miliardi”? Poi gli ho chiesto quante volte 50 milioni sta in 10 miliardi, costo annuo del bonus di 80 euro. Ho preso un appunto che ho smarrito. Perché non è molto importante il risultato esatto ed ho imparato a concentrarmi sull’essenziale e sugli ordini di grandezza. Vogliamo almeno imparare questo per non soccombere ai brogli comunicativi che sono un insulto (forse meritato) alla nostra intelligenza? Se imparassimo questo il quesito referendario non oserebbe chiederci come a degli imbecilli se vogliamo ridurre i costi della politica. Volendo farci credere che di quanto li riduciamo e a quale prezzo sia un insignificante dettaglio.

mercoledì 5 ottobre 2016

Frantz, fra nazionalismi e umanità, fra sentimento e ragione


Convenzionalmente  un film si attribuisce al suo regista. Di Frantz  ho apprezzato molto il regista, Ozon. Come  lo apprezzai in Giovane e bella in cui scandagliava  l’emergente insignificanza della sessualità. Ma qui, in Frantz, ho apprezzato  egualmente il soggetto,  come gli interpreti, il francese   Pierre Niney nella parte di Adrey e particolarmente l’interprete femminile Paula Beer, sobria e intensa nella parte di Anna . Ho apprezzato  soprattutto la splendida fotografia in bianco e nero. Di quest’ultima però  non ho ancora trovato l’autore.  Smetto di cercarlo e prendo atto che  dei coautori si prescrive l’oscuramento, come per i ghost writer di cui pochissimi conoscono i nomi benché  scrivano splendidi discorsi per i politici che affascinano il mondo.  Attribuisco la scelta del bianco e nero al progetto di immersione in un’epoca, il primo dopoguerra,  che appunto dobbiamo immaginare con i colori non colori della cinematografia dell’epoca.  Lubitsch   fu il primo a trasporre in film,  Broken Lullaby , un testo poi elaborato in forma teatrale di Maurice Rostand. Aggiungo che i frammenti di colore, giustificati dal separare realtà e fantasia mi sono apparsi un’operazione intellettualistica, cioè a freddo. 

Chi è il misterioso visitatore  della tomba di Frantz, uno fra i troppi assassinati dal primo macello mondiale, fra le vittime della sconfitta Germania? Lo sconosciuto si rivelerà come un amico francese di Frantz nel tempo in cui era ancora possibile essere amici fra francesi e tedeschi.  Ho scoperto vedendo il film il significato delle  annotazioni dei critici sulla conclamata omosessualità del regista. In effetti Ozon gioca a depistarci, facendoci credere ad un rapporto omo fra Frantz e il presunto amico francese. Come se suggerisse un altro film, un’altra storia rispetto a quella vera. Quella vera è la cecità nazionalista che fa percepire l’avversario in guerra come diverso, come altro da cui evitare il contagio. Questo sul piano delle emozioni collettive. Sul piano delle emozioni individuali il tema è quello della responsabilità. Ho la responsabilità della morte dell’altro solo  perché sono la persona che muove il grilletto, la persona che per prima muove il grilletto? Sono due domande diverse. Alla prima riusciranno a dare risposta innanzitutto le donne, Anna, fidanzata dell'ucciso e poi la madre. Direi perché le emozioni femminili più facilmente privilegiano la cura e la vita e guidano in tale direzione  gli occhi della ragione. Poi  anche il padre, l'anziano dottore la famiglia, cui il film assegna il ruolo (maschile?)  della rielaborazione razionale. No, responsabili sono i mandanti grandi e piccoli, anche i piccoli, i padri che ad ogni vittoria festeggiano con vino in Francia e birra in Germania. La responsabilità personale però è un sentimento più difficile da spegnere. Un conflitto irrisolvibile fra la ragione che mi proclama innocente perché comunque nel duello, imposto da altri, debbo per forza scegliere fra una vita, la mia, e un’altra vita, contro il cuore che ti dice  che comunque se non ti avesse incontrato quell’uomo  sarebbe vivo. La ragione in questo ha un compito immane.  Non prevarrà mai. Si può solo volere che non soccomba del tutto. Dopo il massacro mondiale, con le sanzioni crudeli agli sconfitti  e con  quel che venne poi, soccombette del tutto. E lasciò campo libero alle orride emozioni dello sterminio e del sadismo.   

martedì 4 ottobre 2016

Il mio Fuocammare

 Ribadisco che non esistono film, romanzi, opere d’arte, in sé, a prescindere da chi vi viene in contatto e dal momento in cui avviene il contatto. Ieri in Tv ho rivisto Fuocammare di Gianfranco Rosi. E mi ha preso più e diversamente rispetto a quando l’ho visto sul grande schermo. Più o meno quanto mi prese a suo tempo Sacro Gra dello stesso autore. Entrambi film-documento, entrambi frammenti arditamente connessi in un contenitore spaziale: il grande raccordo anulare di Roma e l’isola di Lampedusa (guarda caso rispettivamente nei pressi di dove vivo oggie di dove vivevo una volta). In Fuocammare la vita di Lampedusa procede eguale a se stessa con pochi contatti con il mondo che irrompe dal Mediterraneo dei migranti. Penso di aver visto un film diverso per la ragione che d’improvviso lo vedevo con gli occhi della riscoperta e della nostalgia. Giacché, per ragioni che non conosco, d’improvviso la vita dal ragazzino Samuele e della gente attorno a lui e dei colori, suoni e sapori, mi hanno prodotto la nostalgia di una Sicilia in cui vivevo fino a pochi anni fa e che d’improvviso mi sembra di non aver mai conosciuta. Troppo occupato a capire gli astratti comun denominatori del mondo. Perdendo sempre più la concretezza di colori, suoni e sapori. Sicché l’aria di “E vui durmiti ancora” che la stazione locale di Lampedusa nel film di Rosi trasmette mi fa ricordare con un tuffo al cuore che scoprii quel canto da mia madre che tanto tempo fa -non so perché - volle intonarlo mentre mi stava accanto. Anch’io facevo come lui, come Samuele, intagliando le “pale” di ficodindia per disegnarvi volti. Lo avevo dimenticato. D’improvviso sento l’odore della pala incisa e il calore dell’estate siciliana. Avevo dimenticato anche questo. Anch’io foggiavo fionde, pur senza essere mai riuscito a colpire un volatile. Mi sono stupito soprattutto che nei giochi e nella vita di Samuele sia del tutto assente la vita senza odori, sapori e sensazioni tattili della rete. Stupito della sua curiosità per la vita trascorsa degli adulti, fin nei dettagli (“Quanto stavi in mare? Un anno? Meno di un annoi?), per il suo recepire lezioni dai grandi e il suo impartire lezioni di fionda al più piccolo. Lampedusa oggi come la Sicilia di 60 anni fa che non saprei ritrovare lì dove vivevo. Con ruoli, pratiche e valori fermi e condivisi. Lì avviene l’impatto col nuovo mondo, quello in cui si scommette la vita in un viaggio per mare, un mondo in cui tutto è opinabile, nessuno educa nessuno, tutto è occasione di conflitto.