venerdì 29 maggio 2020

Gli storici diranno

Gli storici si chiederanno: perché la Sinistra italiana non abrogò mai le leggi della Destra che aveva aspramente avversate? E perché non fece le leggi che aveva promesso? Perché restò pressocché intatto il codice Rocco? Perché non fu ripristinata la scala mobile? Perché non fu abrogato il Jobs Act e ripristinato l'art. 18? Perché non furono abrogati i decreti sicurezza? Perché non fu abrogata quota 100? Perché non si introdusse lo ius culturae?
Gli storici si divideranno. Alcuni diranno che la Sinistra ebbe paura di essere sconfessata da un Paese di Destra. Altri diranno che sotto sotto la Sinistra condivideva i provvedimenti della Destra, anche se non poteva dirlo. Fece fare cioè alla Destra, "tecnici" compresi, il lavoro sporco. In sintesi, con varie sfumature, gli storici diranno che la Sinistra in Italia non c'è mai stata. Ci sono stati riformisti scoloritissimi (liberal socialisti?). Ci sono stati "comunisti" e massimalisti impotenti, paghi di avere ragione e indifferenti a governare e cambiare il Paese, forse consapevoli di non disporre di progetti avanzati e sostenibili. Qualcuno dirà che ci fu solo un uomo capace di visioni radicali e insieme di concretezza politica. Un uomo mite e forte che si chiamava Enrico Berlinguer.

domenica 17 maggio 2020

Cos'è l'amicizia


Nell'economia della mia mente. ho sempre ritenuta la parola "amicizia" sinonimo di "amore". Empatia con l'altro/a, condivisione di mondi. Mentre non ho mai chiamato "amore" quell'attaccamento egoistico e possessivo compatibile con violenza ed assassinio. Purtroppo non posso da solo imporre un nuovo vocabolario. So che una volta le amicizie erano permanenti, crescevano o un po' deperivano, ma quasi sempre restavano. Con larghe o comunque significative condivisioni. Così per l'amicizia permanente col mio compagno di banco al liceo. Uniti, ad esempio, dai miti affascinanti della Grecia, nonché da simile attrazione per il mondo femminile. Divisi - pazienza- dalla politica, allora come oggi. La mettiamo ancora tranquillamente fra parentesi, anche se lui non è più convintamente "liberale" e filo-Usa come prima. Penso a questo per un motivo particolare.
Era maturata una sorta di amicizia con una badante romena. Si occupa di un anziano vicino di casa. E' sui 50 anni, è gradevole, gentile, abbastanza colta e parla l'italiano un po' meglio dell'italiano medio. Ci fermavamo a parlare con lei, mia moglie ed io, sia che la incontrassimo sola o con il suo novantenne badato. Anzi, era lei a stimolare di più la conversazione. E c'era magari un sottinteso utilitario, compatibile con l'amicizia: il pensiero che un giorno lei potesse essere - chissà.- la nostra bravissima badante. Le chiedevo spesso della Romania. Una volta mi disse che Ceausescu era stato vittima di un complotto internazionale legato alla finanza. Mostrai di non capire e lei non mi spiegò meglio. Colse - credo - la mia perplessità. Poi, in epoca di pandemia, lei, spavalda e senza mascherina, con l'aria di ha capito tutto, ha alluso ad altri complotti. Se ho capito, ma non ci giuro, si vogliono sterminare gli anziani. La mia perplessità evidente non deve esserle piaciuta. Da allora solo un veloce saluto. Temo di aver compromesso il mio felice futuro di "badato". In compenso mi è chiaro che non è solo facebook a compromettere le amicizie. P.S. Buona domenica agli amici tutti, soprattutto a quelli che sopportano il mio dissenso.

venerdì 15 maggio 2020

Fantasia distopica: il pianeta chiamato Idiozia

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Qualcuno o qualcosa ne fece un Paradiso. I frutti presero a crescere spontaneamente. Le stagioni ad alternarsi senza scosse né alluvioni. La bellezza era indistruttibile e avvolgente. Il sesso non era più riservato ai più belli. Gli uomini non sentivano più bisogno di niente. Non ci si ammalava né si moriva più. Però l'autore del Paradiso aveva dimenticato qualcosa. Millenni di cultura malsana avevano foggiato menti folli. Successe allora che i governanti e tutti gli abitanti del pianeta si chiedessero: “E il lavoro? Come faranno senza lavoro gli albergatori, i barman, i contadini, i medici, gli addetti alle onoranze funebri?”. Così i governanti presero ad inventare incentivi: per viaggiare, per pagare prostitute, per cercare di morire. Promossero anche guerre per stimolare l'occupazione nelle fabbriche di armi. Non si poteva fuoriuscire dalla teoria economica della domanda salvifica. La avevano sposata tutti, sinistra compresa. Senza domanda non c'era salvezza, suggeriva il senso comune consolidato.. Non si erano dati 80 euro affinché chi prima non poteva acquistare potesse ora soddisfare i suoi bisogni. No, gli 80 euro servivano a stimolare domanda, produzione ed occupazione. Provarono a resistere, a costo di ricevere insulti e minacce, alcune ragazze che – chissà perché- l'idiozia aveva risparmiato. "Perché la guerra? Perché l'Ilva? Non dobbiamo visitare il Colosseo o la Torre di Pisa, se non ne abbiamo voglia. Non dobbiamo consumare merendine zuccherate se è più sano e gustoso il panino al prosciutto. Non dobbiamo riabituare gli uomini a giocare d'azzardo distruggendo famiglie. Per il Pil? Lo sviluppo? L'occupazione? Ma cosa dite?” Furono linciate. Non fu possibile liberarsi dall'idiozia nel pianeta chiamato Idiozia. Il Paradiso tornò velocemente ad essere Inferno.

martedì 5 maggio 2020

Il Pericle extraterrestre: noi su Marte facciamo così


Premessa
Attorno al primo decennio degli anni duemila fu in voga in Italia fra gli oppositori di Berlusconi utilizzare il discorso di Pericle agli ateniesi (Tucidide, Storie), testamento politico democratico, scandito dalla formula "Noi ad Atene facciamo così", come espressione di una idea radicalmente diversa di democrazia rispetto all'autoritarismo populista del leader della destra. Fra Berlusconi ed i democratici non c'era rapporto possibile. Erano due visioni del mondo opposte, come era opposta la visione di Pericle a quella dei barbari. Da vicino si colgono bene particolari e differenze. Da lontano però si vede meglio ciò che accomuna i diversi. Per un Pericle che guardi e giudichi la Terra dal lontano pianeta marziano Berlusconi, D'Alema, Bersani, etc. hanno prevalentemente cose in comune. Ecco il messaggio alla Terra del Pericle marziano.
“A voi terrestri sembra democratico che se mille vogliono andare a nord e mille ed uno a sud, tutti debbano andare a sud. La vostra non è democrazia, ma dittatura della maggioranza. Che poi è in fondo dittatura di una minoranza, di quelli che con la forza degli strumenti della persuasione e col ricatto economico possono far decidere ai più ciò che giova ai meno. Noi chiamiamo Democrazia invece il sistema in cui tutti possano riconoscersi nel governo e scelgono la stessa direzione, avendola condivisa, talvolta con fatica. Noi su Marte facciamo così.
Voi avete una élite che governa i cittadini. Odiate l'élite e per contraddirla coltivate odio, rancore, fascismo ed anche popolari sgrammaticature. Però non sapete sostituirla né farne a meno. Abbiamo riso a crepapelle quando un vostro leader, in odio al Parlamento, ha fatto festa cancellando qualche centinaia di parlamentari. Ci chiedevamo perché mai non li cancellasse tutti se il loro costo era tanto intollerabile. Noi studiamo la matematica e, a differenza di voi che ve ne occupate solo a scuola, la pratichiamo. Sappiamo che 300 milioni è mille volte meno di 300 miliardi. E nessuno da noi farebbe festa per aver risparmiato qualcosa come una tazzina di caffè. Noi pian piano abbiamo fatto a meno dei partiti; ma non certamente per risparmiare una tazzina di caffè. Non siamo così idioti. Sono scomparse maggioranze e minoranze e dopo che tutti i marziani sono diventati capaci di governare, abbiamo sostituito il sorteggio delle cariche al voto. Noi su Marte facciamo così.
Voi ai disoccupati piuttosto che dare lavoro preferite dare sussidi o consentire di rapinare. Avete infatti uno strano concetto dell'economia. Noi invece sappiamo che il lavoro che serve è infinito e ce lo dividiamo. Nessuno è senza lavoro. Neanche i vecchi che magari svolgono lavori più leggeri e lavorano due ore anziché otto. Voi dite – inutilmente- che il lavoro è un diritto (che poi di fatto non assicurate). Noi più spesso ricordiamo che è un dovere a quelli tentati di stare in ozio. Noi su Marte facciamo così.
Voi condannate molti fra quelli che lavorano ad essere precari. Sulla Terra il lavoro si conquista e poi si perde con l'incubo di non trovarlo più. E i disperati non trovano altro rimedio alla paura se non assassinare la compagna. Alcuni poi fanno lavori piacevoli, altri fanno lavori pericolosi, pesanti e sgradevoli. Noi i lavori sgraditi li svolgiamo a turno: li svolgono ingegneri, avvocati, artisti e filosofi. Domani, ad esempio, per me, filosofo e governante nel mese scorso, è il turno di lavorare nelle fogne. Noi su Marte facciamo così.
Voi dite che ognuno merita quello che ha in quella che vi sembra una libera competizione. Quindi per voi alcuni uomini valgono un milione di volte più di un altro uomo. Noi pensiamo invece che ogni vivente valga quanto un altro e abbia diritto ad eguale felicità dell'altro, perciò nessuno riceve più del doppio dell'ultimo che è quello che sceglie di dare di meno, ricevendo di meno. Noi su Marte facciamo così.
Voi avete persone senza tetto, senza cibo e senza istruzione. Dite da millenni che farete in modo che tutti abbiano tetto, cibo ed istruzione. Non ci siete mai riusciti e non ci riuscirete. Noi abbiamo avuto mille anni fa l'ultimo senza tetto. Quando in un territorio avvenivano inaccettabili esclusioni, studiavamo per capirne le ragioni e poi rimuoverle, anche punendo gli incapaci governanti di quel territorio. Noi su Marte facciamo così.
Voi terrestri, se cristiani, dite di credere tutti in uno stesso Dio. Ma per alcuni il Dio vuole carità ed accoglienza, per altri suggerisce di lasciare annegare chi voglia trasferirsi da un Paese all'altro. Lo stesso è per altre religioni. Alcuni musulmani credono in un Dio misericordioso, altri in un Dio omicida e terrorista. Noi abbiamo abolito Dio, le crociate ed il terrorismo. Non abbiamo frontiere e non abbiamo Paesi ricchi accanto a Paesi poveri. Se molti vogliono andare da qui verso lì, noi ci impegniamo a rendere più attraente il Paese da cui si va via. Noi su Marte facciamo così.

domenica 3 maggio 2020

La Scuola oltre l'emergenza: lo squisito errore nella torta


Leggo che Raham Emmanuel, capo dello staff di Obama, diceva: “Non bisognerebbe mai sprecare una crisi”. Ci sto pensando molto in questi giorni. Perché succede che quando hai una visione tutto ti pare che parli di questo. Infatti anche l'ultima squisita torta di arancia e ricotta preparata dalla persona a me più vicina mi è sembrata alludere ad una occasione imprevista di rinascita. Quei pezzetti di bucce di arance sfuggiti al frullatore, al di là delle intenzioni, e con imprevisto effetto di massima squisitezza della torta. E' ben vero che da un disastro può scaturire un vantaggio imprevisto. Anche se, ragionevolmente, non conviene produrre disastri per cercare vantaggi. E' più probabile infatti che i vantaggi eventuali saranno minimi rispetto agli effetti nefasti di una pandemia. E nondimeno giacché la pandemia c'è, pur non avendola gli uomini intenzionalmente prodotta (prodotta senza intenzione però sì), è ragionevole massimizzarne gli effetti positivi. Penso alla Scuola. La didattica online è stata una conseguenza subita per limitare il danno della chiusura delle aule. Indubbiamente però la didattica a distanza, attuata con docenti talvolta incompetenti nelle tecnologie e/o con studenti privi di tablet o con smartphone condivisi dai fratelli in spazi angusti, ha prodotto nuovi apprendimenti in docenti ed allievi nella gestione degli strumenti. Oltre che farci scoprire le ineguaglianze prima ignorate. Pare proprio d'altra parte che docenti e studenti dopo settimane o mesi, prendano a soffrire del nuovo status didattico. Rimpiangono classi ed aule e le interazioni docente/studente ed anche studente/studente tipici della scuola ante pandemia. Tornare indietro appena possibile dunque? O no? La pandemia e l'esigenza di una didattica non virtuale stanno suggerendo anche un ritorno in aula in piccoli gruppi. Per motivi di prevenzione ovviamente. Ma dovrebbero essere solo igienici i motivi per scegliere il piccolo gruppo? Mi pare di no. Credo ci siano tante modalità utili per apprendere e credo che la meno efficace sia proprio la più praticata nelle scuole e nelle università: tutti di fronte al docente che “spiega”, tutti di fronte, mostrandosi solo nuca o profilo. Come atomi impermeabili, che nulla possono apprendere l'uno dall'altro. Mi pare che gli elementi di identità vincano su quelli di differenza nella didattica frontale in aula e in quella online che è comunque frontale, cioè priva di interazioni. Significativo mi è apparso il giudizio di uno studente online: “avrei voluto chiedere chiarimenti, ma non l'ho fatto perché temevo di disturbare”. Come in classe, assai spesso.
Ora si propone di tornare in aula in piccoli gruppi. 4 o 5 per non rischiare di infettarsi. Bene. Ma la didattica per piccoli gruppi esiste da tempo, ben prima della pandemia. Perché è la didattica che più favorisce il dialogo puntuale con il docente-facilitatore che può intervenire per sciogliere nodi dell'apprendimento, per evidenziare nessi e proporre sistematizzazioni. E con compagni collaboranti, non più nuche e profili, ma gruppi di apprendimento in quello che si chiama “peer education” (educazione fra pari). Un po' come nel lavoro, un po' come nella vita. Un po' come nei gruppi di pari che oggi nei laboratori del mondo sperimentano farmaci e vaccini. Solo un po' ovviamente, perché resta distinta nella scuola l'intenzione dell'apprendimento rispetto a quella del produrre. Non sarebbe stata necessaria la pandemia per questo, si potrebbe dire. Ma invece sì. Perché le buone pratiche didattiche in Italia e nel mondo restano circoscritte negli ambiti che le hanno elaborate. Per motivi di gelosia o di pigrizia, giacché il modello millenario del docente frontale che trasferisce informazioni e saperi nei sacchi vuoti degli allievi è vischioso, fortissimo, quasi invincibile.
La pandemia ha sollevato anche dilemmi nelle dimensioni valutative e del merito. Con soluzioni anche opinabili. Scoprendosi che non tutti gli studenti dispongono di strumenti telematici o di spazi adeguati domestici, si pensa di non doverli sanzionare. Ma sono già sanzionati vivendo in contesti familiari e sociali non “ideali”. Quindi (l'ho già detto altrove) facciamo loro uno sconto, in realtà assolvendo politica e società discriminanti. Poi evitiamo di “bocciare” cioè di costringere a replicare l'esperienza di un ciclo scolastico con gli stessi contenuti e con nuovi compagni. Si attribuiranno debiti invece, da colmare nel prossimo anno. Ragionevole. Più ragionevole sarebbe segnalare sempre competenze deboli e competenze forti ed anche suggerire le competenze da rafforzare in progetti assistiti di autoprogettazione del futuro. Servirebbe articolare le funzioni in un'area di progettazione- docenza- orientamento- tutorato, magari con un tutor che assista non solo in un ciclo scolastico, ma in un ciclo di transizioni formative e di vita. E infine più che un indifferenziato diploma servirebbe la certificazione di personali costellazioni di competenze, da ri-certificare periodicamente in un vero disegno di formazione permanente. Chissà perché ci appare ovvio rinnovare la patente o il certificato di sana e robusta costituzione e non rinnovare egualmente diplomi o certificazioni scolastiche-universitarie.
Davvero l'ingegnere e l'insegnante sono sempre ingegnere e insegnante, anche se fermi ai vecchi saperi non rielaborati? E perché non utilizzare in funzione di aiuto-docenti nella Scuola i laureati come già si sta facendo, mutatis mutandis, nella medicina? Perché non disegnare un progetto lungo di apprendistato docente e perché non disporre di un repertorio di competenze didattiche messe in pensione ed interessate ad essere nuovamente utili? Spero davvero che l'emergenza ci faccia cogliere l'ovvio sepolto dalle stratificazioni delle vecchie abitudini.

venerdì 1 maggio 2020

Primo maggio: oggi lotta, domani Festa


Se il Primo Maggio è di chi lavora oggi non è Festa per i molti privati del diritto-dovere al lavoro. Oggi è Festa per alcuni, nemmeno per tutti quelli che un lavoro lo hanno, se temono di perderlo, e neanche per chi lo ha sottopagato e neanche per chi svolge un lavoro non corrispondente con le proprie competenze. Non è una festa per la maggioranza, non almeno nel significato comune di “festa”. Può essere un giorno di lotta invece o di festa nel senso di festa della consapevolezza. Se c'è la consapevolezza. Di cui vedo poche tracce. Loro, la destra, i populisti stanno stravincendo. Gli espropriati sono in gran parte con loro. Sedotti dalle sirene distraenti che indicano bersagli di comodo perché il Capitale la faccia franca: i neri, i gialli, gli antifascisti, la misteriosa finanza giudaico-massonico, l'Europa taccagna che ci fa pagare i prestiti, etc. Restano a sinistra quelli che difendono quello che hanno, ceto medio e pensionati. Perché non c'è una Sinistra che spieghi che il lavoro non è un privilegio o un dono, non è una impresa ardua, realizzabile solo con i condoni ai proprietari e le mani libere a distruggere la Terra. E' realizzabile invece facendo incontrare i bisogni infiniti degli uomini e le competenze, sapendo che non c'è persona senza competenze e se la proprietà privata e l'anarchia del Capitale sono l'ostacolo, questo ostacolo va rimosso (vedi art. 4 e art. 53). Sarà Festa come è Festa il 25 aprile della Liberazione, quando si sarà liberati dall'incubo del lavoro che non c'è o che c'è come chimera oppure tormento (sia Ilva, sia bracciantato schiavile), quando la Costituzione sarà realizzata. Quando la promessa di un diritto effettivo al lavoro (art. 4) sarà finalmente esaudita. Buon Primo Maggio di lotta e consapevolezza.