giovedì 31 gennaio 2019

Se non sai inventare qualcosa, inventa un nome


Ricordo che nell'89 parlavo a lungo sul lungomare di Catania con una dirigente dell'Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione dei lavoratori) di un progetto di reddito di cittadinanza che allora appariva maturo. Non si chiamava così, anzi non ricordo come si chiamasse. Allora ci si occupava poco di trovare il nome giusto; ci si occupava un tantino di più di trovare l'idea giusta.
Questa storia dei navigator ha diversi aspetti. Innanzitutto: si inventa una nuova miracolosa funzione capace di realizzare l'incontro fra domanda ed offerta oppure si inventa un nome che renda affascinante ciò che già c'è? Direi la seconda. Per quel che so, avendo lavorato per i centri per l'impiego. A parte l'apparato amministrativo addetto a registrazioni varie, gli operatori si dedicavano e si dedicano a pratiche di orientamento e/o di inserimento lavorativo. Con persistente scarso successo. Un po' per limiti di numero (avevamo ed abbiamo forse 1/10 degli addetti in Germania), talvolta per limiti di competenza e di motivazione. E soprattutto perché le aziende non si fidavano di segnalazioni che temevano "interessate", preferendo scegliere secondo il loro criteri di scambio con i segnalatori che avevano qualcosa da dare in cambio. Cosa aggiungeranno i navigator, importati dagli Usa (come nome, solo come nuovo nome di vecchie funzioni)? Le lauree richieste sono quelle vecchie degli operatori dei centri per l'impiego (quando laureati): psicologia, sociologia, scienze della formazione, economia, giurisprudenza). Di fatto aumenta il numero degli operatori, ma non si aggiungono competenze nuove. Si conferma invece che inventare un nome apre spazi di carriera e successo. Strano che in una società in cui quasi tutto è comunicazione (intesa anche come tecnica sofistica dell'imbroglio) i laureati in scienze della comunicazione siano derisi per le loro scelte. Forse l'Università è incapace di produrre la competenza "furbizia".

mercoledì 30 gennaio 2019

Stranieri in patria


Se avete seguito ieri sera l'intervista incalzante di Floris a Salvini dovreste essere atterriti. Devo escludere per forza che il conduttore abbia costruito una platea leghista doc. Eppure il pubblico tutto ha applaudito il ministro con applausi scroscianti ad ogni sua proposizione, ad ogni battuta. Anche quando raccontava balle colossali: ad esempio che la salvaguardia sull'Iva sarà sterilizzata e che le tasse, indirette e dirette, non cresceranno e che anzi si realizzerà progressivamente una compiuta flat tax. Ci sono state ovazioni - bravo! bravo! - e infine addirittura standing ovation. L'unica consolazione, assistendo all'inquietante spettacolo, poteva essere nella costatazione che molti (ma non tutti: ho controllato) che applaudivano Salvini applaudivano anche chi lo contrastava. Però forse la cosa è un'aggravante. L'Italia rappresentata appare così stupida, oltre che filoleghista. Sicché ho pensato a quanto sarebbe bello se ognuno potesse scegliersi la sua patria, con nazioni fatte da un eguale sentire. Lasciando la bella Italia a leghisti e fascisti? Che fare? Non so.

domenica 27 gennaio 2019

Democrazia Socialista


Il mio partito che non c'è si chiama Democrazia Socialista. Nulla di simile all'orizzonte. Democrazia Socialista rifiuta i gorilla e rifiuta gli imperialismi. Non confonde Maduro con Allende o Mandela o Mujica. Non si fa distrarre da nemici di comodo:quelli che ti impediscono di stampare moneta, indebitando i posteri. Non ama Macron, ma ancor meno i gilet gialli e quelli che menano le mani a casaccio. Crede poco al reddito di cittadinanza, soprattutto se ingolfato da paletti e minacce di prigione. Crede nel lavoro di cittadinanza senza se e senza ma. Perché possibile utile e giuso che ognuno abbia un lavoro vero. Crede nell'appropriazione pubblica degli strumenti di produzione. Crede che il merito si possa sposare con l'eguaglianza: oggi può bastare un rapporto uno a 10 fra il meno e il più ricco, domani basterà un rapporto uno a due.Crede in una Europa federale e democratica. Crede nell'Organizzazione delle Nazioni Unite senza Consiglio di sicurezza fatto dagli antichi vincitori con diritto di veto. Democrazia Socialista per ora ha un solo iscritto: io.
P.S. Quanti amici perderò stavolta? Non è tempo di conformismo e pensieri pigri. Meglio rischiare.

venerdì 25 gennaio 2019

Sinistra: cioè?


Gli interventi letti sul caso Venezuela fanno sì che da un lato crescono i miei dubbi sulla mia identità di sinistra. Dall'altra crescano anche i dubbi che la sinistra esista. Da quello che faticosamente indago capisco che da destra fino al centro (Pd compreso) sono contro Maduro. Nella sinistra non comunista (Leu) si dividono fra Boldrini moderatamente contro e Fassina assolutamente pro. Nella sinistra che si dice comunista (Pci, Pc (senza "i"), Rifondazione comunista, fino a Potere al popolo, sono accesamente pro-Maduro. La CGIl è spaccata: infatti viene ritirata una mozione pro- Maduro Per i pro- Maduro il pronunciamento di Trump contro il presidente basta a qualificare Guaidò, Presidente dell'Assemblea nazionale, autoproclamatosi Presidente della Repubblica. Mentre l'appoggio di Putin ed Erdogan non fa impressione o è ben accetto. Sul fronte ecclesiale Francesco nicchia mentre l'episcopato venezuelano è contro Maduro. Io non riesco ad ignorare che Maduro ha sospeso il Parlamento eletto, sostituendolo con un'Assemblea costituente di stampo corporativo e a sua misura. Né posso ignorare che il Venezuela è drammaticamente impoverito, con tanti in fuga dalla povertà e con una inflazione che è forse la più alta del mondo. E non mi basta affatto che Maduro si dica erede di Chavez e di Bolivar. Forse la contesa è fra due golpisti. Penso anche che la democrazia per il Socialismo non possa essere un optional. Insomma, forse è meglio che smetta di discutere di politica o perderò i miei amici.

Le buone idee nel momento sbagliato


Capita a chiunque di dire una cosa giusta ogni tanto. Capita anche a Conte. Quando, a Davos, ha detto che sarebbe bene impegnarsi affinché nel Consiglio di sicurezza dell'Onu entrasse l' Unione Europea, anziché la Germania, come ventilato dalla rafforzata intesa franco-tedesca. Sarebbe una iniziativa utile anche a imprimere slancio ad una Europa stanca e divisa dai nuovi nazionalismi. Peccato che le parole di Conte in questo momento appaiono strumentali alla luce delle ostilità escogitate dai gialloverdi contro l'alleato francese soprattutto, ma anche verso la Germania. Per il resto la riforma del Consiglio di Sicurezza sarebbe matura da tempo. Inaccettabile che esso sia ancora occupato dai vincitori del secondo conflitto mondiale. Inaccettabile anche il potere di veto anche di un solo membro del Consiglio di sicurezza.

giovedì 24 gennaio 2019

"I figli del destino" per scongiurare il destino che si prepara


Visto ieri in Tv il documento-film di Francesco Miccichè e Marco Spagnoli, "I figli del destino", storie vere di bambini e bambine vittime delle ignobili leggi razziali del 39. Tutti testimoni intervistati ed anche interpretati. Sono contento per lo spazio che la Tv sta dedicando al giorno della memoria. Non solo la Tv pubblica, non ancora sufficientemente epurata. Avranno colpito molti lo stupore e l'incredulità di quei bambini d'improvviso espulsi dalle loro scuole ed allontanati dai compagni. Alcuni avranno colto in ciò sinistre analogie con i deportati dal Cara di Castelnuovo di Porto, con il loro stupore, con la loro incredulità. Colpisce anche la paura (e viltà) delle famiglie " ariane", prima amiche, e degli stessi compagni di classe (non di tutti), testimoniata e confermata dalla più nota fra i protagonisti, la senatrice Liliana Segre. Era possibile anche allora, con qualche rischio, opporsi per non vendersi l'anima. Come, in altro momento, si opposero alla richiesta di giuramento di fedeltà al regime alcuni docenti universitari. Pochi. Come oggi si oppongono sindaci e politici, magari mettendo il proprio corpo davanti al pullman della deportazione (Rossella Muroni)., .
Costruiamo subito il NO gridato di tutti i resistenti. Finché siamo in tempo.

mercoledì 23 gennaio 2019

Il figlio di Saul: la Shoa non è replicabile?


Ho visto in Tv "Il figlio di Saul" dell'ungherese László Nemes. Storia di un ebreo, Saul, parte di un commando di prigionieri nell'orrore del lager, assegnato, con la motivazione di qualche misero privilegio, al lavoro manuale per le camere a gas: accompagnare i destinati alla morte, farli spogliare, raccogliere i pochi loro beni, sbarrare le porte della camera a gas, aspettare che cessassero le grida di quelli che erano stati convinti di dover fare una doccia per poi ricevere un tè, rimuovere i corpi (che i nazisti hanno insegnato a chiamare "pezzi"), portarli negli inceneritori, raccogliere le ceneri, farne cumuli da disperdere nel fiume, ripulire. A Saul capita però di trovare il corpo di un bambino ancora in vita (è controverso nelle recensioni del film se sia suo figlio o se Saul scelga di chiamarlo "figlio") . Salvare il bimbo si dimostra impossibile. Allora Saul mette caparbiamente a rischio la sua vita per sottrarre il bambino all'anonimato delle ceneri dandogli una sepoltura.
Visto in questa triste fase storica il film, bellissimo e straziante, mi ha confermato in due convinzioni. La prima è che sprazzi di coraggio ed umanità si affacciano talvolta in vite sbagliate, anche in quelle dei complici dell'orrore, e viceversa peraltro i "buoni" e i "normali" non sono esenti dal rischio di macchiarsi di infamia. La seconda, che molto oggi si è rafforzata, è che non c'è garanzia alcuna che quello che fu chiamato "il male assoluto" domani non sia replicato. Oggi lo vedo assolutamente possibile.

lunedì 21 gennaio 2019

Reddito di cittadinanza e Socialismo


Se proprio dovessi scegliere fra due mostri sceglierei M5S. Perché l'attenzione agli ultimi è cosa giusta e buona. Dividere il pane è cosa giusta. Ma fare il pane è indispensabile. Ed io credo che sia possibile fare tanto pane e dividerlo con equità. Perciò i 5Stelle non mi bastano. E non mi piacciono per una idea malsana di pseudodemocrazia, oltre che per un moralismo spicciolo che lascia intatti i privilegi veri. Ciò detto, penso che un reddito minimo garantito sia sostenibile se al contempo la collettività si appropri del suo destino e dei mezzi di produzione. Dopo che avremo capito che solo il lavoro produce ricchezza. L'inoccupazione è un irragionevole nonsenso. Lo è se a contempo ci sono enormi bisogni inevasi: di istruzione, di salute, di buona alimentazione, di tetti, di ponti, di sicurezza ambientale, etc. Quindi, in un disegno di Socialismo vero, immagino il reddito come misura necessaria, ma sempre più marginale. Nel mentre lo Stato si riqualifichi, si semplifichi e assuma come valori, oltre che la democrazia, la competenza e l'efficienza. Demenziale la complicazione messa in atto per scegliere gli aventi diritto e punire i brogli nel mentre i brogli sono stimolati dalle complicazioni normative. Più ragionevole un reddito universale, benestanti compresi, purché accompagnato da una nuova curva irpef più progressiva (fino al'80%) e da implacabile lotta all'evasione. La semplicità è sorella della giustizia e della democrazia.

sabato 19 gennaio 2019

L'economia irreale


Ho sentito ad Otto e mezzo per l'ennesima volta il documentatissimo Marco Travaglio. Sempre più pentastellato.e questa volta assai deludente. Nello sforzo evidente di difendere l'indifendibile. Osservo che non riceve obiezioni nella trasmissione a due affermazioni che purtroppo so essere condivise dalla più parte della sinistra. Da me no. Soprattutto la prima appare ormai patrimonio del senso comune. L'automazione riduce sempre più i posti di lavoro. Ma non sembrava così nell'epoca della prima rivoluzione industriale, quando gli operai luddisti presero a distruggere le macchine colpevoli? La seconda è quella per cui i posti liberati dai pensionati in uscita per quota 100 andrebbero a vantaggio di nuovi assunti. La prima affermazione serve a difendere (malamente) il reddito di cittadinanza che invece avrebbe ben altre giustificazioni. A partire dal soccorso a quelli che non hanno reddito da lavoro. Che non mi sembra crescano nel mondo malgrado i processi di automazione. Se poi fosse vera l'equazione automazione=disoccupazione=povertà il giorno in cui le macchine ci sostituissero del tutto sarebbe una catastrofe. E invece no, perché se tutto fosse gratis ed abbondante grazie alle macchine non ci sarebbe bisogno di reddito alcuno. Servirebbe una rivoluzione culturale, servirebbe l'intelligenza, servirebbe tornare al buon senso dell'economia reale. Anche a proposito della seconda affermazione riguardo la "provvidenziale" quota 100. L'economia reale mi suggerisce che finché ci sono bisogni cui le macchine non riescono a rispondere incrementare l'addio al lavoro significa semplicemente incrementare lo spreco di risorse e di vita. Ma l'economia reale è assente nel dibattito. Come è assente l'opzione del pieno impiego, del controllo collettivo di macchine, rete e strumenti di produzione tutti. E' assente l'opzione socialista, mentre la cosiddetta sinistra si gingilla con le bufale della economia "irreale".

giovedì 17 gennaio 2019

La nuova attualità degli anni di piombo


Ieri sulla 7 ho seguito "La prima linea" di Renato De Maria. Non ho visto il secondo film, di Colapresti, anch'esso sul terrorismo rosso, evidentemente tornato d'attualità sulla scia della cattura-spettacolo di Battisti. Film che metto fra i tanti che la Scuola dovrebbe proporre agli studenti troppo ignari del recente passato, oltre che privi di chiavi per capire il complicato presente. Buon film quello che ho visto. Per la descrizione del percorso che porta Sergio Segio dalle lotte sociali con Lotta Continua alla scelta armata e poi ai dubbi e infine al ripensamento. Nel film ed anche nella realtà la consapevolezza della sconfitta matura con l'assassinio del giudice Alessandrini e con le folle ai suoi funerali: lì si comprende che Prima Linea non ha il proletariato dietro di sé, ma solo la repulsa, compresa quella degli ex compagni di Lotta Continua. Il percorso drammatico di ripensamento sembra concludersi con la morte di un pensionato in conseguenza dell'assalto al carcere di Rovigo per liberare Susanna Ronconi, la compagna di lotta e di vita. Quella morte, pur non voluta, è il disastro per la residua credibilità di Prima Linea e per la coscienza del protagonista. Sergio Segio, catturato, in carcere rivolse un appello a tutti i "combattenti" perché deponessero le armi. Libero, dopo 22 anni di carcere, scrive su varie riviste ed è un volontario attivo sui temi delle narcomafie e, soprattutto, delle condizioni carcerarie. Qualunque uomo può essere recuperato, anziché essere additato al disprezzo perenne? Sergio ritiene di sì.
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martedì 15 gennaio 2019

I pesi e le misure


Non sceglierei fra terroristi rossi e terroristi neri. Per me i terroristi rossi sono nella sostanza neri, checché essi pensino di se stessi. Quindi non direi mai: o fate marcire tutti in galera o non fate marcire nessuno. Direi di non fare marcire nessuno e di rispettare il dettato costituzionale che vuole la pena riabilitativa. Ad ulteriore chiarimento meglio che almeno il terrorista rosso paghi la sua pena, anche se i neri continuassero a non pagare la loro, da Piazza Fontana in poi. Ciò detto, mi devo chiedere perché mai le stragi dei neri finiscono impunite o punite con forti sconti. Vedi Fioravanti in libertà dal 2009 malgrado 8 ergastoli e Mambro in libertà dal 2008 malgrado 9 ergastoli. Mi sono distratto o il ministro dell'Interno non ha ancora inveito contro intellettuali di destra (beh, magari perché non ci sono intellettuali a destra), ma neanche contro chi li avrebbe liberati (giudici garantisti, ad esempio), oltre che contro gli stessi assassini ? Proprio non gli riesce a dire "sporchi fascisti" o qualcosa di simile? Aspetto fiducioso, diciamo.

La Storia che viviamo e vivremo


All'inizio ci furono gli insulti. Per opporsi all'élite ovvero per dare l'impressione di opporvisi ovvero per opporsi a tutti tranne che ai padroni del mondo, si urlava “vaffa...”. Si vide che il popolo apprezzava. Era entusiasta, si sentiva liberato e faceva coro. I padroni stavano a guardare sereni. Poi furono inventati nemici a iosa: l'Europa, Bruxelles e i migranti. Tutti nemici, soprattutto gli ultimi che si disputavano con i penultimi le molliche di lauti pranzi. Tutti nemici. Tranne i padroni. Dimenticati, i padroni stavano a guardare felici, bevendo champagne. Poi si ripudiò ogni linguaggio istituzionale. I condannati non dovevano subire la pena, o tanto meno essere rieducati, ma dovevano "marcire in galera”. Gli evasori invece no. Erano condonati per fare cassa. I padroni esultavano. Poi si volle somigliare ancor più al cosiddetto popolo, oltre il linguaggio verbale. Si cominciò a fare rumorose pernacchie ai residui avversari, nemici del popolo. Ad ogni popolare pernacchia il pubblico di “Non è l'Arenai” si sbellicava dalle risa. Poi nella gara a chi era più popolare si andò oltre e contro i progressisti, Fazio, Saviano, etc. si usò un fragoroso repertorio intestinale. Giletti fingeva moderato disappunto. Poi più no, smise di fingere. Ebbe ragione di temere che il popolo non comprendesse più che fingeva. L'ipocrisia, omaggio che il vizio tributa alla virtù, era stata abrogata: richiedeva risorse culturali non più disponibili. Mentre milioni di affamati alternavano l'ipnosi delle slot machine, a "Non è la Rai" e alla caccia a qualche migliaio di neri, i padroni, rinserrati nei loro alti castelli per proteggersi dal cambiamento climatico e dal rischio di inondazioni, consumavano festanti le ultime cibarie della Terra. Poi finirono anche queste. E finalmente nel pianeta morto fu l'eguaglianza, quella che la Sinistra, indecisa su Jobs act sì o no, non seppe realizzare fra i vivi.

Un abbraccio alla Polonia democratica


Aggiungiamo alla martirologia dei democratici progressisti, sempre meno, Pawel Adamowicz, Sindaco di Danzica. Propugnava porti aperti, accoglienza e diritti per le minoranze sempre più limitati in Polonia. L'ha ucciso un folle? Sì, un folle e la follia di un'epoca che non risparmia più quasi nessuno. Cerchiamo di essere resistenti e intelligenti, per favore.

lunedì 14 gennaio 2019

Guardare l'abisso


Ieri ho deciso di seguire per un po' "Non è la Rai". Giletti è fra tutti i personaggi televisivi quello che mi è più sgradito. Almeno da quella volta in cui, alla Rai, anni fa, lanciò via con disprezzo il libro di un ospite. Mi chiesi allora come mai non fosse stato licenziato in tronco e perseguito per danni dal datore di lavoro. Ieri intervistava l'uomo del giorno e di quest'epoca triste e stupida, Salvini. Di fatto si è comportato da spalla. Squalificante. Dettando la battuta allo showman: contro Fazio, contro Saviano, contro gli intellettuali comunisti che difendono Battisti. Applausi scroscianti ed anche ovazioni. Credo che molti del pubblico fossero invitati di Salvini. Ma mi rifiuto di credere che lo fossero tutti. Ne tengo conto per disperarmi di più, ma anche per invitare ad una lunga Resistenza. P.S. Sento come un pesante dovere scendere ogni tanto nell'abisso televisivo per controllare che tempo che fa.

domenica 13 gennaio 2019

Una notte di 12 anni: per capire Mujca, la violenza e l'umanità


Alcune forti analogie col film di Moretti, “Santiago, Italia”. Entrambi ambientati nel Sud America degli anni 70 e oltre. Entrambe le storie si avviano dall'instaurarsi di una dittatura feroce. Entrambi i film sono più documenti che fiction. Sono corso a vedere “Una notte di 12 anni” di Alvaro Brechner per paura di perdere un film purtroppo di nicchia. Ho visto in una saletta dalle dimensioni minime un lavoro non eccezionale come film e però assai coinvolgente ed utile. Anche questo da suggerire con forza alle scuole .
La dittatura, instaurata nel 73 in Uruguay, fa strage degli oppositori, tupamaros soprattutto. Ma ne risparmia nove. Per due motivi. Il primo e più comprensibile: tenerli come merce di scambio per eventuali rapimenti o come deterrente contro possibili attentati. Il secondo: sperimentare torture innovative: con privazione di cibo, di aria, di spazio. In tre condividono, pur ognuno isolato, la prossimità di cella. Fra questi il futuro presidente dell'Uruguay Pepe Mujica. Trascorrono così 12 anni fino alla liberazione dalla dittatura e dalla prigione. Durante quegli anni c'è lo sforzo titanico di sopravvivere, di reggere l'insopportabile. Di credere. Mujca appare fra i tre il più provato, fino a seri disturbi mentali. C'è nel film la descrizione della stupidità. oltre che della ferocia della macchina militare Si pensi a come di grado in grado, dal sergente si arrivi al colonnello per decidere se il prigioniero ammanettato in un certo modo debba essere liberato dalle manette oppure debba defecarsi addosso imbrattando la latrina. E c'è anche un episodico rapporto umano col carceriere cui il prigioniero colto offre di scrivere lettere d'amore e suggerisce strategie di conquista amorosa. Interpreto l'offerta come non motivata solo da uno scambio di favori (vedere per qualche attimo il sole e la campagna), ma anche e soprattutto dal bisogno di relazione. Si veda su questo proprio in “Santiago, Italia” l'episodio della prigioniera che insegna il ricamo alla custode. Non vogliamo crederlo noi “buoni” perché ci sembrerebbe di fare sconti all'orrore, però anche nei peggiori criminali si affacciano momenti di umanità, che vengono da percorsi che si decise di interrompere e che non si può escludere possano essere ripresi. Ha questo significato – ritengo- il saluto di Mujica liberato al suo carceriere: “Le auguro una buona vita”. E' lo stesso Mujica che, eletto Presidente nel 2009, inviò al contendente sconfitto: “Mi dispiace di averle procurato dolore con la mia vittoria”. E' lo stesso Mujica che nella sua vita di guerrigliero avrà probabilmente ucciso. Perché era necessario. Ma non si uccide, non si ferisce e non si offende, quando non serve alla causa della giustizia. E' lo stesso Mujica maestro di sobrietà, che visse, con uno stipendio di 800 dollari (1/5 circa di quanto gli spettava) la Presidenza nella sua casetta in campagna dove è tornato a coltivare fiori. Mujica che cerca di insegnare ai ricchi la rinuncia ai consumi nei quali si dissipa inutilmente la vita. Per me un uomo immenso, Come Gandhi e Mandela.

giovedì 10 gennaio 2019

Morire di calcoli (matematici e politici)


Prima viene il sentimento: è la condivisione della gioia delle persone sbarcate a Malta. Poi viene la riflessione. L'Europa si è macchiata di ridicolo e di infamia. Basta dividere 500 milioni (tanti sono i cittadini della Ue) per 49 (tanti sono gli sbarcati). 500 milioni invasi da 49 persone. La divisione mi dà:0,0000001. E' un calcolo che ogni governo europeo avrà fatto. Ma il punto non erano i 49. Il punto era dare un esempio, sia agli altri governi europei (nelle varianti: “io non sono più fesso degli altri” (Germania, incalzata dai populisti, etc.) e “io sono il più furbo e patriottico di tutti” (Italia salvinizzata, Ungheria, etc.), sia ai disperati che preparino la fuga da un continente largamente inospitale. Il calcolo era politico, non matematico. L'unica soluzione per sfuggire al contempo all'indignazione degli europei (una minoranza?) non ancora rinco...niti era quella che si è scelta. Il compromesso era nell'evitare di portare alla morte i 49, ma solo torturarli per tre settimane. Tutto normale quindi. Almeno fino a che non sorga una nuova consapevolezza: la consapevolezza che le Istituzioni che debbano dar conto ognuno al proprio condomino o nazione non potranno che distruggere il mondo. Come trovare però un governo planetario che garantisca le ragioni del mondo non apparendo sacrificare gli interessi di una singola nazione e dei suoi cittadini e poi, quando Stati e Nazioni appariranno obsoleti, si occupi finalmente della felicità di ogni abitante del mondo? Cerco la soluzione in un nuovo Patto mondiale che cominci a dotare Onu e organizzazioni internazionali di radicali nuovi poteri di intervento, sul fondamento di una Costituzione del mondo che fissi e presìdii principi irrinunciabili. Guardo troppo in alto? Sì. Ma non c'è tempo da sprecare nelle futilità.

giovedì 3 gennaio 2019

Andata e ritorno sul trenino di Ostia


Qualche volta la multisala di Ostia non programma film considerati di nicchia. Allora mi avventuro in un lungo percorso nell'immenso territorio metropolitano, con trenino, metro e talvolta bus. Dopo Rugantino mi è capitato per vedere Cold war. Film polacco interessante e bello. Non amo e non porto con me il cellulare e neanche libri o giornali. Guardo la gente a me vicina che non può sottrarsi al mio sguardo e alle mie orecchie. All'andata c'era una matura signora di fronte a me. Parlava al cellulare con un'amica. Per tutto il percorso da Ostia a Piramide: mezz'ora. Così ho conosciuto pezzi della sua vita. Ha un figlio lontano ed una figlia vicina. Un po' fa la nonna, occupandosi del piccolo Marco quando i genitori lavorano. Deve essere complicato perché la nonna lavora. Precariamente. Infatti diceva : “speriamo che questo lavoro duri”. Va bene, risparmio i dettagli.
Al ritorno, in piedi vicino a me e mia moglie c'era una famigliola. I genitori giovani trentenni. Lui bianco. Lei nerissima e assai bella, con un fisico mozzafiato ed un viso espressivo. Avevano una carrozzina con una bambina bella come la madre e chiara quasi come il padre. Una bambina di circa sei mesi, vivacissima. Alternava la manipolazione di un pupazzetto a smorfie ricambiate coi genitori. Non smettevamo di guardarla, mia moglie ed io, anche perché lei interagiva con sorrisi ai sorrisi di mia moglie che le era più vicina. Provavo una intensa simpatia per la famigliola. Poi è successo che i genitori hanno preso i cellulari e sono entrati nei loro mondi virtuali. Mondi affascinanti e isolanti. Tanto è vero che la bimba ha cambiato espressione. Si è fatta corrucciata. Nessuno rispondeva più alle sue smorfiette. Ha preso a tirare il cappotto rosso della madre. Ma quella non sembrava neanche accorgersi. E lui sorrideva a qualcosa sul suo cellulare. La bimba era irritata e continuava a tirare il capotto materno. Mia moglie mi diceva:”Ma come fa a non accorgersi che la bambina vuole giocare con lei”? Niente da fare. La mia simpatia per la coppia si è tramutata in stizza e quasi antipatia. Sono scesi ad Acilia. Ho pensato, come mi capita spesso: non li vedrò più. Lui, lei tanto integrata - haimé- nella nostra italica cultura e la piccola, bellissima italiana lievemente abbronzata.

mercoledì 2 gennaio 2019

Lo spettacolo oltre Rugantino


Andiamo al Sistina per Rugantino. Le nostre figlie ci hanno regalato poltronissime assai care per Natale. Avevo visto Rugantino più di una volta, ma solo in Tv. Ricordavo soprattutto uno straordinario Aldo Fabrizi, interprete di Mastro Titta, il bonario e tenero boia dello Stato pontificio. Mi chiedevo quanto mi avrebbe deluso il nuovo interprete. Che, pur bravo, inevitabilmente mi delude. Tralascio gli altri interpreti, a partire da Montesano-Rugantino su con gli anni. In compenso è molto bella la scenografia e ottima la sperimentata regia di Garinei (coautore con lo scomparso Giovannini). Purtroppo sono distratto dalla insofferenza di mia moglie che - lo scopro appieno solo dopo- aveva accanto una coppia che non ha mai smesso di chattare con i cellulari. E sono distratto anche da quelli e quelle che, malgrado le raccomandazioni iniziali, usano i cellulari per fotografare pezzi dello spettacolo, Così al solito lo spettacolo per me diventa il pubblico. Mentre mi pongo domande che non possono avere risposta. Come fa una coppia a spendere 138 euro di poltronissime (2x69) per chattare un paio d'ore con chi sa chi? Poi c'è la sorpresa più consolante, benché con un retrogusto amaro, di vedere un centenario, alto, elegante, solenne, col suo bastone e la pelle incartapecorita, appoggiato al braccio di una donna. Avrà visto a suo tempo Rugantino. Ha chiesto di rivederlo. C'è ancora questa Italia. Che fra poco non ci sarà più.