domenica 13 gennaio 2019

Una notte di 12 anni: per capire Mujca, la violenza e l'umanità


Alcune forti analogie col film di Moretti, “Santiago, Italia”. Entrambi ambientati nel Sud America degli anni 70 e oltre. Entrambe le storie si avviano dall'instaurarsi di una dittatura feroce. Entrambi i film sono più documenti che fiction. Sono corso a vedere “Una notte di 12 anni” di Alvaro Brechner per paura di perdere un film purtroppo di nicchia. Ho visto in una saletta dalle dimensioni minime un lavoro non eccezionale come film e però assai coinvolgente ed utile. Anche questo da suggerire con forza alle scuole .
La dittatura, instaurata nel 73 in Uruguay, fa strage degli oppositori, tupamaros soprattutto. Ma ne risparmia nove. Per due motivi. Il primo e più comprensibile: tenerli come merce di scambio per eventuali rapimenti o come deterrente contro possibili attentati. Il secondo: sperimentare torture innovative: con privazione di cibo, di aria, di spazio. In tre condividono, pur ognuno isolato, la prossimità di cella. Fra questi il futuro presidente dell'Uruguay Pepe Mujica. Trascorrono così 12 anni fino alla liberazione dalla dittatura e dalla prigione. Durante quegli anni c'è lo sforzo titanico di sopravvivere, di reggere l'insopportabile. Di credere. Mujca appare fra i tre il più provato, fino a seri disturbi mentali. C'è nel film la descrizione della stupidità. oltre che della ferocia della macchina militare Si pensi a come di grado in grado, dal sergente si arrivi al colonnello per decidere se il prigioniero ammanettato in un certo modo debba essere liberato dalle manette oppure debba defecarsi addosso imbrattando la latrina. E c'è anche un episodico rapporto umano col carceriere cui il prigioniero colto offre di scrivere lettere d'amore e suggerisce strategie di conquista amorosa. Interpreto l'offerta come non motivata solo da uno scambio di favori (vedere per qualche attimo il sole e la campagna), ma anche e soprattutto dal bisogno di relazione. Si veda su questo proprio in “Santiago, Italia” l'episodio della prigioniera che insegna il ricamo alla custode. Non vogliamo crederlo noi “buoni” perché ci sembrerebbe di fare sconti all'orrore, però anche nei peggiori criminali si affacciano momenti di umanità, che vengono da percorsi che si decise di interrompere e che non si può escludere possano essere ripresi. Ha questo significato – ritengo- il saluto di Mujica liberato al suo carceriere: “Le auguro una buona vita”. E' lo stesso Mujica che, eletto Presidente nel 2009, inviò al contendente sconfitto: “Mi dispiace di averle procurato dolore con la mia vittoria”. E' lo stesso Mujica che nella sua vita di guerrigliero avrà probabilmente ucciso. Perché era necessario. Ma non si uccide, non si ferisce e non si offende, quando non serve alla causa della giustizia. E' lo stesso Mujica maestro di sobrietà, che visse, con uno stipendio di 800 dollari (1/5 circa di quanto gli spettava) la Presidenza nella sua casetta in campagna dove è tornato a coltivare fiori. Mujica che cerca di insegnare ai ricchi la rinuncia ai consumi nei quali si dissipa inutilmente la vita. Per me un uomo immenso, Come Gandhi e Mandela.

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