mercoledì 30 novembre 2011

Magri, Monicelli e le domande impronunciabili

Lucio Magri era un uomo molto affascinante. Il fascino gli aveva regalato una vita piena di amori. Era un uomo molto intelligente L’intelligenza non gli aveva consentito di prevedere il futuro e la sconfitta meglio di quanto possa fare un qualsiasi idiota. Era un uomo molto colto. La cultura gli ha consentito di trovare una morte “igienica”, senza sangue, in una clinica svizzera specializzata. Non come Monicelli che sceglie di schiantarsi sull’asfalto. Magri è morto da politico, non solo perché intenzionato – come ha sostenuto l’amico Valentino Parlato – a denunciare la società colpevole di un fallimento sociale e del suo fallimento, di Lucio, ma anche perché capace di immaginare il mondo senza di lui: gli amici in attesa della notizia, il suo corpo senza vita sepolto accanto a quello della moglie amata. Non potendo e non volendo capire che non avrebbe mai saputo di questo, che morendo non avrebbe assistito alla propria morte e morire sarebbe stato subito come non essere mai nato (avrebbe dovuto insegnarglielo Lucrezio). Perciò il suo suicidio è più colto di quello di Monicelli che però è più cinico e intelligente, nella consapevolezza che non ci fosse rituale meritevole di essere osservato, che non avrebbe sofferto assistendo al dolore di congiunti per il corpo straziato, e che non avrebbe mai goduto del cordoglio di amici e parenti. Magri muore come uno stoico romano felice di lasciare memoria onorata di sé, come un samurai. Ritualmente. Monicelli si butta via, semplicemente, come nel settembre 2001 si buttavano dalle Due Torri per sfuggire a una morte più lenta e atroce. Perché conservare la vita per i minuti e i secondi utili al fuoco a realizzare la sua tortura fino alla morte? Serviva a Monicelli conservare la vita aspettando che malattia e dolore finissero di torturarlo? E poi la domanda terribile, di fondo, che ci è vietata: serve conservare la vita, innamorandosi, essendo abbandonati dall’amata, sgomitando, proteggendo i propri figli e uccidendo i figli altrui, se si sarà inghiottiti comunque dal nulla? E’ diverso 30, 40, 100 anni, con l’infinito nulla davanti?
Questa domanda ci è vietata. Ci è vietato disporre liberamente di noi, almeno tutte le volte in cui è possibile imbrigliare la pulsione di morte. Oggi dibattiamo sul nostro spazio di libertà, entro i margini assegnati dalle leggi degli Stati, tutte le volte in cui non possiamo o non vogliamo fare da soli. Sono, quelli degli Stati, divieti che incidono sulla minoranza degli aspiranti suicidi, la minoranza dei più sofferenti e inermi, come Welby e Englaro. Divieti esemplari che non impediscono ai più, disoccupati e piccoli imprenditori falliti, detenuti senza speranza e ascolto nelle carceri affollate, di por fine alla vita.
Eppure – lo so – non possiamo consentire pubblici suicidi. Non possiamo guardare il morituro che beve il farmaco mortale come se bevesse una gazzosa, o lasciarlo volare dal tetto come se avesse un paracadute.
Allora ci insegnano a distinguere, come se nelle distinzioni che a me paiono futili risiedessero verità, giustizia e pietà. L’Olanda consente l’eutanasia attiva, col medico che direttamente procura la morte. La Germania consente l’ eutanasia passiva, interrompendo cure inutili perché incapaci di evitare la morte. Stupenda ipocrisia perché comunque la morte è accelerata dalla fine delle cure. Se la vita fosse un valore in sé, ogni attimo di vita sofferente avrebbe valore. In Svizzera è consentito il suicidio assistito: è il morituro che si propina il farmaco mortale procuratogli dalla clinica che lo assiste. Già perché pare essenziale che non sia il medico a compiere l’atto meccanico e “omicida”. In Italia il dibattito è sul quesito se sia terapia l’alimentazione e l’idratazione forzata. Chissà, forse quando apparirà insostenibile per la divina economia mantenere in vita malati nel corpo o nello spirito, manovra dopo manovra, si creerà un nuovo senso comune che faciliterà gli esodi dalla vita.
Fare la vita meritevole di essere vissuta non riguarda governi, parlamenti e banche. Dicono che è tema da filosofi: insomma non è argomento serio. Lucio Magri avrebbe considerato insopportabile il confronto fra le ragioni dei clericali e quelle prossime a venire degli economisti.

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