lunedì 11 dicembre 2017

Gli sdraiati di Serra e i viaggi di Vasco


Le somiglianze non sono nelle cose, nei libri, nei film, etc. Le somiglianze sono in noi, nei nostri mondi inventati, talvolta molto, talvolta poco condivisi, talvolta mondi solo nostri. . Ci sto pensando a proposito dell'ultimo film di Francesca Archibugi e del libro “Gli sdraiati” di Michele Serra cui il film si ispira. Ma anche a proposito di “Un'ora di tranquillità” visto ieri a teatro. Il film mi ha indotto a leggere il libro di Serra. Ed entrambi mi hanno indotto a vedere a teatro la commedia di Florian Zeller, “Un'ora di tranquillità”.
Il libro di Serra ha maggiore intensità drammatica, pur nello stile “leggero”. Al centro c'è il racconto esemplare e drammatico di una totale rottura generazionale, quella fra gli adolescenti e giovani nativi digitali, i loro padri e le generazioni precedenti. Una volta, dice Serra, i minori vivevano separati dagli adulti – pranzavano prima di loro, ad esempio. Ma erano pronti a sostituire gli adulti, in continuità con il loro lavoro e i loro valori. Oggi non più. Serra racconta le frustrazioni di un dialogo impossibile, con un figlio iperconnesso, con grovigli di fili ed auricolari, ad un mondo sconosciuto dai padri. Un mondo in cui l'ordine sociale e materiale dei padri è ignorato. Ignorati i convenevoli, ignorate le pratiche igieniche, ignorati i cassetti in cui separare biancheria e maglioni, ignorate le stagioni, ignorati gli abbigliamenti consoni a climi e circostanze. Lo scrittore guarda ai due mondi divisi, un po' da oggetto osservato, appartenendo a uno dei due mondi, un po' da soggetto osservante, consapevole dei disastri compiuti dal suo mondo. Sicché, nel romanzo che immagina di scrivere, ambientato nel prossimo futuro, alla fine il protagonista anziano sceglierà di tradire l'esercito sterminato dei vecchi.
Resta il problema: non abbiamo idea alcuna del mondo a venire che i giovani nostri eredi costruiranno. Ammesso ne costruiscano uno.
Nella commedia teatrale, come nel film di Archibugi, il divertimento prevale sulla dimensione drammatica di Serra. Ma anche qui, nel lavoro dell'autore francese, c'è un figlio connesso al suo mondo ed un padre escluso. Con qualcosa di meno in profondità e qualcosa di più in larghezza. Perché il testo teatrale mi ha suggerito che siamo sì separati irrevocabilmente dai nativi digitali, e però, in fondo siamo separati anche fra pari e coetanei maturi. Sicché se il giovanissimo figlio rockettaro della commedia è autenticamente indifferente alla rivelazione sul suo vero genitore, anche il protagonista è non meno indifferente, scoprendosi tradito da moglie (ed amico). Perché quel che desidera davvero è un'ora di tranquillità, ascoltando in solitudine quel disco in vinile con quel mitico Jazz ritrovato che vale più di una moglie e di un figlio.
Allora non so più. Probabilmente è vero che sono irrimediabilmente diversi i miei nipoti. Ma in ultima istanza loro portano alle conseguenze estreme la solitudine che già noi abbiamo sperimentato ed insegnato senza saperlo. Ognuno col suo viaggio/Ognuno diverso/E ognuno in fondo perso/Dentro i fatti suoi. Allora, nell'83, fu piacevole la scoperta della comune condivisione della canzone di Vasco fra me e le mie figlie, che comunque appartengono ad una generazione precedente agli alieni nativi digitali: come uno fra i tanti ponti costruiti fra me e loro.. Credo però che in fondo ognuno da sempre vede spettacoli del mondo diversi, come vivendo in contorti corridoi labirintici in cui ogni tanto ci si incontra, come alieni in nodi spaziali. Oggi sempre meno.

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