giovedì 12 gennaio 2012

La ricchezza e il covone di letame

La destra periodicamente contesta alla sinistra di criminalizzare la ricchezza. Questo è uno di quei momenti. I poveri, o i non abbastanza ricchi, per i quali parlerebbe la sinistra sono accusati di invidia sociale. Invidia è il desiderio di qualità o cose possedute da altri. Fra queste cose la ricchezza. Al desiderio – è vero – si associa frequentemente l’odio verso la persona che detiene l’oggetto posseduto. C’è in questo momento invidia sociale verso i ricchi? Direi di sì, come spesso, se non sempre. Specifico del momento è invece la reazione stizzita all’invidia. La Santanchè né è un ragguardevole campione. Del resto l’offensiva contro l’invidia e la cosiddetta criminalizzazione della ricchezza si avvale di sponde autorevolissime. L’invidia è fra i sette vizi capitali nella dottrina della chiesa. Certo si gioca parecchio sull’ambiguità. Sembra talvolta che si voglia reagire a una presunta contestazione all’accumulazione come tale, il lavoro paziente della formica che accumula e ripara le provviste per l’inverno. Come se l’invidia per il ricco fosse condanna per la ricchezza, il risparmio, l’accumulazione.. Con altro disinvolto passaggio dialettico si finisce con il difendere il valore sociale del lusso e dello spreco che – storia antica – sarebbe fonte di lavoro e di occupazione. Magnifica in tal senso l’affermazione impavida di quel tale a passeggio per Cortina, anch’essa criminalizzata, impellicciato e accompagnato da avvenente impellicciata (se no, a cosa serve la ricchezza?), che proclama, da economista in vacanza, intollerante a possibili repliche :”L’austerità non fa girare l’economia!”. Insomma, solo grazie al consumo dei ricchi i poveri vivono o almeno sopravvivono. La sinistra è sostanzialmente in difesa rispetto a questo, come di fronte a tutto da qualche tempo. “No, per carità, nessuno criminalizza il ricco, purché paghi le tasse”, si balbetta a sinistra. Certo meglio che niente, pagare le tasse. E’ tutta qui la proposta dei progressisti? Una volta pensavo che la giustizia sociale fosse il loro (il nostro) obiettivo. La sinistra fa fatica a proporre linguaggi nuovi, abrogare parole vuote o dotare le parole consumate di nuovo significato.
Proverei - voglio dire – a menar vanto dell’invidia. L’invidia è il nome imposto dai privilegiati alla sete di giustizia sociale e di eguaglianza. Caso mai distinguerei l’invidia intelligente dall’invidia stupida. Stupido è invidiare una barca da 30 metri da chi c’è l’ha da 15. Stupido è invidiare la casa di 500 metri quadrati che non si riuscirà mai ad abitare. Ma questa variante stupida dell’invidia è l’ invidia dei ricchi verso i più ricchi. Però, per fortuna, in questa battaglia per il vocabolario che vede la sinistra tuttora soccombente qualche esempio di rivincita ci viene dal basso.
In TV, all’ultimo Infedele ho sentito, nel collegamento con un circolo del Pd di Lecco, un militante proporre una efficacissima metafora: la ricchezza è come il letame; il letame, se resta ammassato in un covone è sterile, se distribuito nel campo è prezioso. Sarebbe il caso di reclutare quel militante nell'esercito per un nuovo senso comune.

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