giovedì 26 novembre 2020

Nome di donna", metafora della violenza di classe con complici annessi

 

Ho visto in Tv ieri "Nome di donna" di Marco Tullio Giordana (2018). Mi è piaciuto molto e l'ho trovato esemplare nel descrivere i meccanismi della violenza di genere. La protagonista trova un lavoro da inserviente in una dimora per anziani e subito deve difendersi dai tentativi di stupro del direttore. Lei non solo resiste all'assalto, ma chiede giustizia. Si trova a combattere la sua battaglia circondata dall'ostilità delle compagne di lavoro, un po' perché chi ha subito non ama chi dimostra che si può resistere, un po' perché le vittime temono per il posto. Nel film la protagonista vincerà infine la sua battaglia giudiziaria. Però Giordana anche nello splendido finale allude che la guerra di genere non è vinta. Ho trovato la storia - non so se nelle intenzioni dell'autore - una splendida metafora del Sistema economico sociale, del Capitale cioè che può reggersi certamente non sulla forza dei capitalisti, ma solo sulla divisione delle sue vittime. Per sopravvivere si deve essere complici perché nessuna delle vittime può essere certa che gli altri si ribelleranno. Conviene convincersi che subire è giusto. E conviene scegliere il conflitto-concorrenza con gli altri sfruttati piuttosto che lo scontro col potente: chiara genesi della cultura delle contraddizioni in seno al popolo fino ai sovranismi e ad altri inganni.

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