giovedì 20 aprile 2017

La disperazione infinita e il reddito di inclusione


Me lo dico da solo. La mia è una idea stramba. Anzi non è neanche una idea: è un sentimento. Mi ha assalito recentemente quando Gentiloni ha presentato i decreti attuativi delle misure contro la povertà. Si vuole dare sollievo a quattrocentomila famiglie ovvero a circa un milione e mezzo di persone classificate fra le più povere. Lo si farà con un assegno mensile pari a 480 euro per nucleo familiare. Oltre che con misure di inclusione (accompagnamento al lavoro). Lo si farà per una quota dei sette milioni di poveri e dei quattro milioni di italiani certificati in povertà assoluta. Dovrei essere contento. Meglio qualcosa che niente. Meglio qualcosa per qualcuno piuttosto che per nessuno. Meglio un timido avvio di una politica vagamente somigliante alle politiche in atto in quasi tutti i Paesi di Europa. Già, ma chi mi dice che è un avvio? Chi mi dice che progressivamente si risponderà alla disperazione dei sette milioni di variamente disperati? E' egualmente probabile che il soccorso al milione e mezzo di persone non sarà più finanziato in avvenire. Forse subentreranno altre esigenze: premiare l'impresa che altrimenti delocalizza, un bonus a chi già ha qualcosa per incrementare i consumi, super-stipendi e vitalizi. Esigenze dei politici più che esigenze del bene comune. E poi c'è quel mio strano sentire. Quello che mi porta a dire che le disperazioni non possono essere né sommate né sottratte. Che l'infelicità di un padre che perde lavoro e casa e non sa cosa dire ai figli occupi uno spazio infinito. Infinito. Mille o un milione di storie simili occupano lo stesso spazio infinito. Non pretendo che la collettività sia capace di sopprimere ogni disperazione. Dico solo che riconosco come sinistra l'intenzione di farlo. Almeno questo. Non riconosco come sinistra chi assume altre priorità. Per questo sono orfano della sinistra oggi.

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