mercoledì 14 ottobre 2015

Padri e figlie: fra cinema e realtà


Non sono un critico cinematografico. Nessun discorso su "piani sequenza" e cose simili. Sono un tale che da pensionato va più spesso al cinema. Ed è interessato un tantino al rapporto fra cinema e cultura: come il nostro modo di pensare si riflette nel cinema e cosa il cinema produce nel nostro modo di pensare. Poi credo che sempre ognuno di noi veda un film diverso pur vedendo lo stesso film. Che è sempre filtrato dalle lenti della nostra storia. Immagino che molti padri di figlie andranno a vedere il “Padri e figlie” di Muccino cercando di capire se si ritrovano in quella storia e magari cercando di capire che padri sono o sono stati. Sono portato a pensare che molti invidieranno lo scrittore interpretato da Russell Crowe per il privilegio capitatogli di un rapporto così intenso ed esclusivo con una figlia. Mettendo fra parentesi che nel film tale rapporto è permesso dalla perdita di una moglie-madre amata. Però è vero, benché si preferisca tacerlo, che i genitori si dividono di fatto, che lo vogliano o no, lo spazio affettivo dei figli. Ho avuto in sorte di avere tre figlie. Certamente l'impegno lavorativo pomeridiano di mia moglie determinò un rapporto intenso con la primogenita che non potei replicare con le altre due figlie, quando mia moglie smise di lavorare. Egualmente il caso, nella forma della crisi petrolifera del 73, con le domeniche senza auto, mi regalò l'emozione di portare in bici sul seggiolino in bici, sul manubrio di fronte a me, la primogenita, là dove lei non poteva sfuggire al mio sguardo. Con il canonico flash back Muccino ci spiega in che modo siamo determinati dagli eventi alle nostre spalle. Scegliendo però un evento tragico. Sicché il lutto, con connesso senso di colpa, determina le patologie psichiche del padre scrittore come -dopo - della figlia Katie. E' ciò che meno mi convince e meno mi attrae nel film. In particolare la compulsività sessuale di Katie. Che mi appare una invenzione poco originale, omaggio a una scontata fantasia maschile. Mi convince ed interessa di più la lotta del padre per trattenere con sé la figlia. Su questa narrazione anche in Italia prevale netto l'orientamento favorevole alle ragioni del genitore. Ragioni che si affermano anche a fronte di genitori criminali morbosi ed assassini. Ne abbiamo esempi recentissimi. A maggior ragione il cuore degli spettatori batte per Crowe, il padre nel film di Muccino, anche a dispetto della sua fragilità psicofisica, effetto del trauma luttuoso. La malattia, insieme alla labilità del lavoro di scrittore rende il padre esposto alla concorrenza di altri pretendenti al “possesso” della bambina: la sorella della madre scomparsa e il suo ricco marito. Nel film e nella società contemporanea tutto si complica se il disastro economico incombe. Come succede al padre scrittore cui capita l'insuccesso fragoroso dell'ultimo romanzo. Forse per carenza di ispirazione più che per il dispetto di qualche critico, come lo scrittore preferisce credere. Orbene nella società di oggi, almeno nelle società più avanzate in cui Dichiarazioni dei Diritti e Carte Costituzionali promettono eguali diritti e addirittura il diritto alla felicità, molti vincoli "di classe" sono stati allentati.E' abbastanza vero che le cure sono talvolta assicurate - così in Italia - a tutti. Pur non sempre le più immediate e le migliori. E' abbastanza vero che sia possibile superare lo svantaggio sociale per conseguire talvolta lavori prestigiosi. Purché lo svantaggio non sia eccessivo e se il caso ricompensa col talento naturale lo svantaggio alla nascita. E' vero anche che - come recita un noto luogo comune e però fondato - il denaro non assicura la felicità e viceversa capiti di leggere in una bimba rom mendicante un segno di felicità. Vero. Direi che oggi troviamo nella giustizia ciò che oggi è più determinato dal danaro e dalla classe sociale. Innanzitutto per la definizione dell'illecito e della sua gravità. Infatti la giustizia - è scontato - punisce innanzitutto i reati degli ultimi, neri, immigrati, poveri. Ma la giustizia è poi ingiusta anche nella sua applicazione. Dove vince chi può pagare l'avvocato migliore e sostenere vari gradi di giudizio o mirare alla prescrizione. Infatti il padre di Katie rischia di perdere una causa contro la sorella della moglie morta che pretende l'affidamento della nipote. Apparentemente l'arma contro di lui è costituita dalla sua inaffidabilità psichica ed ora anche economica. Apparentemente. Giacché sono le procedure e il costo della giustizia le armi puntate contro di lui. Impossibile sostenerne il costo. Alla fine sono le disgrazie nella parte avversa, quelle che non risparmiano talvolta ricchi e potenti, che fanno, per modo di dire, giustizia. Eventi rari e consolatori per gli ultimi e penultimi. Nel melodramma mucciniano il momento più convincente mi è apparso l'urlo del protagonista schiacciato dal dato economico. “Stati Uniti del Denaro” urla. Già. Ma del resto per cosa mai una persona dovrebbe studiare, lavorare, arricchirsi se non anche per vincere una causa e conquistare una figlia o una nipote? Almeno questo, oltre ad ostriche o champagne. Giacché la democrazia ha sottratto già troppo all'impero del denaro: la salute, l'amore e spicchi di felicità. Per andare oltre, oltre la potenza del denaro, bisogna cambiare pagina. P.S. E' vero che le madri sottraggono spazio ai padri. E' anche vero che le madri proteggono i padri. Nei casi limiti e più detestabili proteggono i compagni-padri dalla censura sociale e dalla legge. Sì, penso alla pedofilia e alle violenze familiari. Però più spesso le madri-compagne sono un salvagente o un ammortizzatore nei conflitti latenti fra padri e figlie. Me ne sono reso conto in un indimenticabile tragitto in auto di pochi kilometri, io solo con le mie tre figlie, allora laureate o neolaureate. L'unico caso in cui mi capitò di essere solo con loro. Cominciò la prima e fu una valanga. “Mi hai sempre stressata”, “Se prendevo un 8, chiedevi perché non avessi preso 10”, “Se prendevo 30, mi chiedevi perché non avessi avuto la lode”, “Mi facevi sentire in colpa perché avevo avuto 110, senza la lode che avevano avuto le mie sorelle”. Io non ricordavo un mio atteggiamento siffatto. Anzi ricordavo di aver consolato la “sfortunata” figlia privata della lode più omeno così: “Consolati, figlia, io e tu saremo il fanalino di coda, senza lode”. Ma ogni ricorda o dà senso ad alcune cose e non ad altre. Comunque ero e sono convinto che mi interessava capire quante competenze le mie figlie si stessero formando. Non potevo essere così superficiale da fissarmi su un voto comunque opinabile. La delusione vera che ricordo bene verso una delle mie figlie fu nell'89. In TV c'era la diretta del crollo del muro di Berlino. Chiamai una figlia allora liceale che era a casa nell'altra stanza: “Vieni a vedere cosa succede” Mi rispose: “Non posso. Debbo finire il latino”. Ecco, allora fui deluso da una figlia e fui deluso dalla scuola che allontanava dal sapere. Forse deluso anche dalla mia incapacità a persuadere, da Pigmalione mancato. Perché certamente ai padri, a noi padri, piace pensare di essere decisivi nella formazione delle nostre figlie, più dei maestri, più degli amici, più dei loro compagni verso in quali la competizione chiamata gelosia è scontata.

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