venerdì 14 dicembre 2018

Santiago, Italia: io coi radical chic e il popolo chissà dove


Ho fatto appena in tempo a fare il biglietto per una proiezione eccezionale al Cineclub di Cinelandia di Ostia per il film preceduto dalla presentazione di Moretti superstar. Pubblico prevalentemente maturo e forse prevalentemente femminile, come di solito. Anzi sono stato abbastanza sorpreso per qualche giovane in sala. Se ci fosse una cineteca nazionale con proposte per la Scuola, "Santiago, Italia" dovrebbe esserci. Però la Scuola si attarda nella convinzione che ciò che è recente (anche 45 anni, in questo caso) è negativamente "parziale" o "politico". Di quella parzialità che Moretti rivendica nel film, rispondendo al generale golpista che dubitava dell'imparzialità del regista. Il film ricostruisce il golpe e soprattutto l'ospitalità dell'ambasciata italiana a centinaia di cileni minacciati di arresto, tortura e morte. Con l'iniziativa solidale dei numeri due e tre dell'ambasciata, in assenza del titolare e nel silenzio del Ministero degli Esteri. Molti applausi a Moretti quando si è detto contento che il film sia uscito in questa fase storica in cui l'accoglienza è diventata un disvalore. Come un messaggio opposto al nuovo e disumano senso comune. Messaggio in sintonia con le testimonianze nel film documentario di cilene e cileni trasferiti dall'ambasciata in Italia dove in molti sono rimasti e che ricordano quei primi anni, in Emilia e altrove, ma soprattutto in Emilia - allora rossa e per qualche tempo ancora rossa - con quell'accoglienza così calda e con il facile inserimento nel tessuto produttivo e sociale in cui allora appariva normale che la nuova arrivata cilena potesse coordinare, per la sua specifica competenza, lavoratori italiani. E c'è in qualche testimone cileno il doloroso disappunto per l'Italia che oggi sembra perdere l'anima. Nella nuova Italia in cui - direi - si vogliono prima gli italiani, anche se primi nell'inferno. Costruendo così proprio l'inferno.
Ho pensato all'angoscia che cominciai a provare già prima del golpe, quando era chiaro l'accerchiamento del governo minoritario di Allende con i media contro e con lo sciopero dei camionisti che metteva in ginocchio il Paese, oltre che con il palese ruolo ostile degli Usa. Ho pensato anche, con senso di colpa che pochi mesi dopo, nel dicembre del 73, riuscivo a godere delle domeniche senza auto, in bici con mia figlia sul sellino. Ho pensato a quella studentessa cilena incontrata nei primi anni '90, a democrazia riconquista in Cile, che si stupiva della mia commozione quando le parlavo di Allende. Ebbi stupore per il suo stupore come mi accadde più recentemente a Praga chiedendo a giovani praghesi, in piazza Venceslao, dove fosse il memoriale di Jan Palach. Era lì vicino. Non lo vedevo perché il memoriale è una lapide orizzontale. Un po' come le lapidi delle vittime della Shoa giorni fa divelte a Rpoma da giovani arrabbiati contro le vittime che noi odiati radical chic onoriamo. Odiate proprio perché noi le onoriamo. Quei giovani praghesi nulla sapevano di Jan Palach. Dispero che si riesca a restituire Storia e memoria alle nuove generazioni del web.

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