lunedì 2 marzo 2020

Cattive acque: la buona scuola (buona davvero) al cinema


A volte penso di avere appreso della storia moderna e contemporanea più dal cinema che dalla scuola e dai libri. Soprattutto riguardo la storia americana che il Liceo e l'Università mi facevano ignorare. In questi anni recenti i registi Usa ci hanno proposto tanti film sulla storia della schiavitù e sul tema razziale, ma anche sul tema del dominio delle corporation ovvero – diciamolo – sul capitalismo ed i suoi guasti. Al filone della cinematografia liberal (o, se si vuole, liberal-socialista) appartiene l'ultimo film visto ieri al cineclub di Cineland di Ostia, "Acque cattive". E' un film del regista Todd Haynes e soprattutto di Mark Ruffalo, attore protagonista, produttore del film ed attivista. La storia vera di una battaglia legale di un avvocato di successo, Rob Bilott, socio di uno studio che prevalentemente difende le ragioni delle imprese. Un uomo indotto ad una conversione etica per la disperazione di un contadino allevatore che "sa" che la moria terribile del suo bestiame è da attribuire all'inquinamento delle acque per la produzione della potente DuPont, quella delle pentole Teflon. E' una battaglia lunga 20 anni e mai del tutto conclusa. A costo degli inevitabili conflitti coniugali, alquanto scontati e poco distinguibili dalle simili narrazioni che oppongono mariti coraggiosi a mogli (qui Anne Hataway) che si fanno carico delle ragioni familiari, la parte meno utile del film. L'avvocato progressivamente capirà che il "sistema" che comprende produttori, politici, giustizia ed anche i presunti interessi dei lavoratori e della popolazione costituisce un blocco troppo difficile da frantumare. Direi, guardando soprattutto all'alleanza innaturale ( o forse perfidamente naturale) dei lavoratori contaminati dai veleni con gli avvelenatori, che la storia narrata è uno spaccato delle ragioni della vittoria di Trump. Ci ricorda anche inevitabilmente la nostra Ilva ( e il polo petrolchimico di Priolo-Melilli- Augusta. Mi sono chiesto però perché il film nulla dica della storia assai simile raccontata da Michael Moore nel suo Farenheit 9/11, nella parte dedicata ai veleni che la General Motors scaricava sugli abitanti di Flint , peraltro prevalentemente neri, con la complicità delle autorità locali e addirittura – duro a dirsi – con la passività (o qualcosa di peggio) del Presidente Obama: incredibile nel film documentario di Moore la scena in cui Obama beve un goccio di acqua presuntivamente inquinata per rassicurare gli abitanti di Flint. Perché? Immagino perché neanche i progressisti, progressisti prudenti, vogliono rovesciare il sistema né correggerlo troppo, non fino al punto da mettere a rischio il lavoro degli avvelenati, se non gli interessi delle corporation. A me il film ha ribadito le ragioni per rovesciare il tavolo e liberare gli avvelenati dal ricatto, negli Usa come a Taranto.

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