martedì 6 novembre 2018

Farenheit 9/11: in attesa di sapere se l'America si sveglia


Mi è piaciuto. Mi ha procurato interesse. Ho appreso cose che non sapevo e visto meglio cose di cui sapevo poco. Michael Moore è fra quei militanti che non nascondono di esserlo. Per fortuna. A differenza dei tanti militanti italiani ossessionati dall'esigenza di apparire “obiettivi” (vedi Travaglio o Mieli per fare un esempio). Il film ci conduce ad esaminare i segnali che fecero presagire a Moore (fra i pochissimi) la vittoria di Trump. Quella vittoria impensabile per i politici e per i media che il regista ridicolizza ricordandoci i sorrisini di scherno verso quella ipotesi che appariva lunare. Moore spiega la vittoria incredibile sia, come domanda di sicurezza di parte della classe operaia e del ceto medio, sia – ancor più -come effetto della fascinazione mediatica che man mano si crea, con l'effetto del macho arrogante, misogino e volgare che incanta le folle negli Usa come in Italia, e sia – forse soprattutto- come responsabilità dei suoi avversari democratici. Il regista ci mostra vicende di cui personalmente nulla sapevo per mostrare la marginalità dei democratici dai problemi veri della gente. Ci mostra il classismo e il razzismo della classe dirigente nella storia della cittadina di Flint, a maggioranza nera, nel Connecticut. Lì il governatore repubblicano dello Stato, tale Sneider, per economizzare e per fare affari privati (come denuncia Moore), priva la città dall'acqua pulita del lago Huron sostituendola con quella di un fiumiciattolo inquinato che farà ammalare con le sue dosi di piombo soprattutto i bambini. Al contempo il governatore restituisce l'acqua pulita alla locale fabbrica della G. M. che aveva lamentato danni alle sue auto. E la fa franca. Anche perché in suo soccorso interviene il presidente Obama. Intervento atteso con speranza dai cittadini abbandonati, ma dolorosamente deludente. Fa male anche a me vedere Obama chiedere un bicchiere d'acqua ai cittadini venuti a sentirlo e berne appena un sorso (come svela l'implacabile telecamera). Il regista ci mostra soprattutto il popolo democratico e radicale deluso quindi. Quello che in parte stava con Sanders (sconfitto da Hillary alle primarie con i brogli secondo l'autore e molti testimoni). Ci sono i ragazzi delle medie, incredibili per maturità, che vediamo organizzare una marcia di protesta contro i fabbricanti di armi, dopo l'ultima strage in una scuola. Con un ragazzino che nell'incontro pubblico con un candidato chiede: “Lei ha avuto finanziamenti dall'Associazione dei fabbricanti di armi?”. Senza ottenere risposta ovviamente. E c'è uno sciopero di insegnanti in lotta per un 5% di aumento del magro stipendio e per una congrua assicurazione sanitaria. Ricevendo la solidarietà delle altre categorie della scuola: autisti, cuochi, etc. Il sindacato ottiene un risultato al ribasso che esclude gli operatori non-docenti. Gli insegnanti riprendono la lotta, forniscono pasti agli alunni cui lo sciopero ha fatto perdere la preziosa mensa. Vincono. C'è infine un esempio di lucida consapevolezza di un pensionato (300 dollari) del settore auto che vuole spiegare ai giovani operai che i vantaggi che ricevono dal protezionismo di Trump sono pagati dagli agricoltori che soffrono le contromisure degli altri Paesi. Una lezione esemplare sugli inganni di Trump e dei sovranisti. Moore è esplicito nel denunciare il trumpismo come neo-fascismo. Lo fa anche sovrapponendo la voce di Trump ad un filmato del Fuhrer. Pur sostenendo che la "democrazia" americana è una frottola, sia per le discriminazioni permanenti, sia per un sistema elettorale voluto dagli Stati schiavisti che ha consegnato a Trump la vittoria, con 3 milioni di voti meno di Hilary, Moore lascia però la porta aperta alla speranza in una nuova generazione radicale democratica, oltre Sanders, fatta non a caso di giovani donne. Ho pensato all'Italia. Ho pensato a Lisa Garofalo, ad Anna Falcone e a Elly Scheiln. Ripartire da un progetto radicale con il volto di giovani donne in Italia come in Usa?

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