venerdì 30 dicembre 2016

Gli anni che verranno


Eravamo più felici prima? Prima che il mondo diventasse un tutt’uno? Quando le frontiere erano difese da linee Maginot? Quando vivevamo venti anni di meno? Quando le epidemie e le guerre ci decimavano? Peccato che non siano disponibili indicatori storici del nostro trascorso grado di felicità da confrontare con gli opinabili indicatori attuali. Peccato non si possano fare confronti geografici misurabili fra la felicità di un “europeo medio” e di un “siriano medio”. Oggi sono portato a pensare che il meglio sia stato raggiunto in Occidente e che da un po’ sia iniziato il declino. Altrove il meglio non è mai iniziato. Altrove non è declino ma catastrofe. Ho smesso di credere in algoritmi che possano mettere ordine nel mondo. Credo di sapere che qualunque soluzione apre nuovi e spesso più gravi problemi. Le primavere preparano inverni bui. E stiamo per accettare definitivamente l’assunto per cui dobbiamo scegliere spesso fra due orrori quello più gestibile e rassicurante. Meglio Hussein, meglio Gheddafi, meglio Assad, meglio Putin che il caos, meglio addirittura Erdogan che, a prezzo ragionevole, ospita (si fa per dire…) chi fugge dai massacri. Il secondo dopoguerra, fino al 2008, è stato l’epoca felice dell’Italia e dell’Europa. Con la lunga pace della guerra fredda e poi con la fine dei blocchi. Pil e consumi sempre crescenti, la Terra sempre più spremuta, il territorio cementificato e il ceto medio protetto e garantito. Adesso, guardandoci indietro, anche le stragi terroristiche e di mafia appaiono solo incidenti da cui ripartire, sapendo dove andare. C’era un mondo di cui non sapevamo nulla mentre crescevamo e i Mac Donalds si moltiplicavano. C’era il genocidio in Ruanda, c’erano tsunami e pestilenze nell’altro mondo. Una notizia veloce sui giornali e via con i nostri riti del sabato sera, i nostri ragazzi che crescevano e trovavano prima o dopo lavoro. Intanto il mondo cominciava a diventare un tutt’uno. I salari non crescevano più, ma compravamo jeans economici prodotti da lavoratori, donne e bambini in Bangladesh. Sfruttati, ma qualcuno dice che guadagnare un dollaro al giorno è assai meglio che vivere con mezzo dollaro al giorno. Iniziava la grande osmosi della globalizzazione fra ex benestanti sempre meno benestanti e poverissimi che diventavano un po’ meno poveri. E in alto i ricchissimi sempre più ricchi. Quelli che non possono fallire. Quelli che hanno in ostaggio i lavoratori. O accettare di essere avvelenati dalle acciaierie o morire di fame. O accettare un taglio del salario o l’azienda andrà via dove folle denutrite e festanti l’accoglieranno. Osmosi. Tranne che per l’1% sottratto all’osmosi. L’1% , motore dell’osmosi. A questi dilemmi risposte assenti o regressive, terapie addirittura più distruttive della stessa malattia. Ecco il top del pensiero “ribelle”:
1. Antiausterity cioè stampare moneta, cioè indebitare i nipoti. E addio all'euro fonte di ogni male (come una volta le streghe)
2. Erigere steccati e fili spinati
3. Rimandare a casa quelli che non hanno diritto perché non fuggono da guerre e persecuzioni ma solo (SOLO) dalla fame (migranti economici)
4. Arrestare i traghettatori e i caporali che però le vittime considerano benefattori
 5. Non delocalizzare, reintrodurre dazi e comprare jeans prodotti in loco a 50 euro anziché a 10, come eravamo abituati, e liberare donne e bambini dai luoghi insani dove sono sfruttati e riconsegnarli alla fame
6. Lavorare meno per lavorare tutti perché il lavoro è una torta definita da dividere e non una torta che si fa più grande se molti e per più tempo vi lavorano. Ovviamente ribaltare la riforma della odiatissima Fornero e andare in pensione a 50 anni per far posto ai giovani quarantenni.
Indistinguibili ormai le proposte di destra e quelle di sinistra, un po’ tutte nel segno di un socialismo nazionale (dove l’aggettivo pesa assai più del sostantivo). Contro il centro dei poteri forti (Clinton, Monti e gente così…). E nell’assenza di un movimento socialista internazionale e di un movimento sindacale, internazionale come il capitale. Al mondo libero da confini e nemici inventati da chi prospera sui muri oggi guarda solo Francesco. E’ solo. Difficile, seppur necessaria, la speranza.

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